64. MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA

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(13-07-2007) - LA GIURIA INTERNAZIONALE

Definita la Giuria Internazionale di registe e registi di Venezia 64.
Catherine Breillat, Jane Campion, Emanuele Crialese, Alejandro González Iñárritu, Ferzan Ozpetek e Paul Verhoeven. Presidente Zhang Yimou.


E’ stata definita la Giuria internazionale di Venezia 64, che anche per i 75 anni della Mostra è composta interamente da registe e registi, come già avvenuto nel 1982 in occasione del Cinquantenario.

I componenti della Giuria di Venezia 64 - tutti già protagonisti della storia recente della Mostra del Cinema di Venezia – sono la regista Catherine Breillat, uno dei nomi più importanti del cinema francese d’oggi, più volte in concorso nei principali festival internazionali e già alla Mostra nel 2001 con "Brève Traversée"; la regista neozelandese premio Oscar Jane Campion, protagonista tre volte alla Mostra, nel 1990 con "Un angelo alla mia tavola" ("An Angel at My Table", Gran Premio della Giuria), nel 1996 con "Ritratto di signora" ("The Potrait of a Lady") e nel 1999 con "Holy Smoke"; il regista italiano Emanuele Crialese, Leone d’Argento alla Mostra di Venezia 2006 con "Nuovomondo" ("Golden Door"); il regista messicano ora affermatosi a Hollywood Alejandro González Iñárritu, già presente alla Mostra nel 2002 con un episodio di "11 settembre 2001" ("11'09''01 - September 11"), e nel 2003 con "21 grammi" ("21 Grams"), Coppa Volpi per il miglior attore a Sean Penn; il regista di origine turca Ferzan Ozpetek, autore di successi come "Le fate ignoranti" (2001), "La finestra di fronte" (2003) e "Saturno contro" (2007); il regista olandese Paul Verhoeven, in concorso alla Mostra nel 2006 con "Black Book" ("Zwartboek"), dopo la sua partecipazione nel 1985 con "L'amore e il sangue" ("Flesh+Blood").

La Giuria, come noto, è presieduta da Zhang Yimou, su proposta del Direttore della 64. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, Marco Müller, approvata dal Cda della Biennale di Venezia, presieduto da Davide Croff.

Nella serata conclusiva della Mostra, l’8 settembre 2007, la Giuria assegnerà per i lungometraggi in concorso nella sezione Venezia 64 i seguenti premi: il Leone d’Oro per il miglior film, il Leone d’Argento per la migliore regia, il Premio Speciale della Giuria, la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile, la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile, il Premio Marcello Mastroianni a un giovane attore o attrice emergente, l’Osella per il miglior contributo tecnico, l’Osella per la migliore sceneggiatura.

Note biografiche dei componenti della Giuria internazionale di Venezia 64

Catherine Breillat (Francia)

Nata a Bressuire, Francia, Catherine Breillat, regista, sceneggiatrice e scrittrice, è una delle più importanti narratrici contemporanee intorno alle tematiche della sessualità. Autrice di film intensi e coraggiosi, a 17 anni pubblica il suo primo romanzo, "L'homme facile" (1965), mentre nel 1972 interpreta Mouchette in "Ultimo tango a Parigi" di Bernardo Bertolucci. Abbandonata presto la carriera d’attrice, si dedica alla stesura di sceneggiature per Maurice Pialat ("Police", 1985), collabora con Liliana Cavani alla sceneggiatura de "La pelle" (1981), con Federico Fellini per "E la nave va" (1983), ed è assistente al montaggio di Marco Bellocchio per "Gli occhi, la bocca" (1982). Nel 1976 debutta alla regia con "L’adolescente" ("Une vraie jeune fille"), che adatta un suo romanzo, "Le soupirail", di cui cura anche la colonna sonora, così come farà in seguito per "A mia sorella!" ("À ma soeur!", 2000). Il filo rosso dei film della Breillat è senza dubbio la sessualità: indagata, negata, cercata, sofferta, subìta. “La passione”, come ha dichiarato la stessa regista, “quanto più è forte, tanto più è legata alla sofferenza, la propria e quella degli altri”. La sessualità femminile diventa il mezzo per un percorso di ricerca di sé, di analisi dei propri demoni e delle zone oscure: una sorta di seduta psicanalitica perturbante. Il cinema della Breillat grida al mondo il suo caparbio desiderio di diversità, come dimostrano i titoli della sua filmografia, non di rado suggellati da punti esclamativi, da "Parfait amour!" (1996) a "A mia sorella!" ("À ma soeur!", 2000), storia di Anaïs, dodicenne sgraziata e bulimica, che nutre un sentimento di amore-odio per la sorella quindicenne Elena, solare e bellissima, attraverso la quale sperimenta le proprie emozioni. Il film, che ha suscitato un acceso dibattito, come d’altra parte tutte le opere della regista francese, ha vinto numerosi premi nei Festival di Cannes, Berlino, Rotterdam e Chicago. L’intera filmografia di Catherine Breillat può essere considerata un continuo rimando al capolavoro di Nagisa Oshima "L’impero dei sensi" ("Ai no corrida", 1976), ma anche ad autori quali Georges Bataille e Jacques Lacan. La tematica dello sguardo infatti, diretto o mediato, e di conseguenza del voyeurismo, è sempre presente nel suo cinema, così come la trasgressione che va al di là della pura e semplice provocazione, per diventare uno strumento di liberazione e purificazione. E’ stata protagonista alla Mostra di Venezia nel 2000 per aver scritto la sceneggiatura di "Selon Matthieu" di Xavier Beauvois, e nel 2001 per aver presentato "Brève Traversée", storia di una trentenne disillusa e disgustata dagli uomini e dall’amore, che seduce ed è sedotta da un sedicenne. Fra i suoi lavori, vanno ricordati anche "Movimenti notturni" ("Tapage nocturne", 1979); "Vergine taglia 36" ("36 filette", 1987), presentato al Festival di Locarno, con Jean-Pierre Léaud nel ruolo di un playboy di mezza età attratto dalla protagonista quattordicenne; "Romance" (1999); "Sex is comedy" (2002), film di apertura della Quinzaine des Realisateurs a Cannes; "Pornocrazia" ("Anatomie de l'enfer", 2003), con Rocco Siffredi (già sex performer in "Romance"); e infine "Une vieille maîtresse" (2006), presentato in concorso al 60. Festival di Cannes, e ispirato a un romanzo di Jules Barbey d'Aurevilly, che racconta la carriera di un libertino del XIX secolo diviso tra una nobile e illibata fanciulla e un'amante torbida e possessiva, interpretata da Asia Argento. La regista è già al lavoro per il suo prossimo film, "Barbe bleue", storia di una donna dalla vita distrutta per amore e che dovrebbe avere come protagonista la top model Naomi Campbell. Nel settembre 2007, inoltre, è attesa la pubblicazione del suo ultimo romanzo "Bad Love".

Jane Campion (Nuova Zelanda)
Nata a Wellington, Nuova Zelanda, Jane Campion, regista tra le più importanti del panorama mondiale del cinema d’autore, è anche sceneggiatrice, attrice, produttrice. La Campion si rivela nella seconda metà degli anni ’80 come cineasta dalla spiccata originalità e dalla grande forza espressiva, attenta sia all’introspezione psicologica dei personaggi, sia all’intensità della rappresentazione ambientale. La stessa Campion parla del cinema “come ristrutturazione della realtà che trasforma colori, paesaggi, dimensioni in un continuo collegamento tra gli occhi degli spettatori e quelli dei personaggi che si muovono sullo schermo”. Dopo essersi laureata in antropologia nel 1975, e aver studiato alla Chelsea School of Arts di Londra, al Sydney College of the Arts e all'Australian Film, Television and Radio School di Sydney, Jane Campion nel 1982 realizza il suo primo cortometraggio, "Peel - An Exercise in Discipline". Successivamente realizza altri tre corti: "Passionless Moments" (1983), "After Hours" (1984) e "A Girl's Own Story" (1984), che ottengono diversi premi. Il primo lungometraggio di Jane Campion, Le due amiche ("Two friends", 1986), prodotto per la televisione, viene presentato ai Festival di Sidney, Edimburgo, Melbourne, e ottiene l’anno successivo tre premi dell’Australian Film Institute. Nel 1986 Jane Campion è la rivelazione del Festival di Cannes: "Passionless Moments", "A Girl’s Own Story" e "Le due amiche" ("Two friends"), proiettati nella sezione Un Certain Regard, ottengono un grande successo, mentre "Peel - An Exercise in Discipline" vince la Palma d’Oro per il miglior corto. Nel 1989, la regista neozelandese dirige il suo primo lungometraggio per il grande schermo: "Sweetie". Presentato a Cannes e vincitore di molti premi internazionali, il film è un racconto dirompente sulla diversa follia di due sorelle, raccontata con quel personale e intenso stile iperrealista che caratterizza il suo lavoro. L'anno successivo alla Mostra di Venezia ottiene un altro grande successo di critica e la definitiva consacrazione con "Un angelo alla mia tavola" ("An Angel at My Table", 1990), basato sull’autobiografia della scrittrice Janet Frame, che conquista al Lido il Leone d’Argento-Gran Premio della Giuria e altri sei premi, nonché numerosi riconoscimenti ai Festival di Toronto, Berlino e Sidney. Un nuovo enorme successo giunge tre anni dopo con "Lezioni di piano" ("The Piano", 1993), interpretato da Holly Hunter, Harvey Keitel, Sam Neill e Anna Paquin, con cui la Campion mette in scena musica e carnalità come emblemi di desiderio ed espressione poetica, con effetti di grande suggestione legati alla natura e alla civiltà della sua terra. Il film vince la Palma d'Oro (ex aequo con "Addio, mia concubina" di Chen Kaige) e il premio per la migliore attrice a Cannes, e tre premi Oscar per la sceneggiatura originale, per l’interpretazione di Holly Hunter e della giovanissima Anna Paquin. "Lezioni di piano" nel 1993 vince più di 30 premi internazionali. La Campion è nuovamente a Venezia nel 1996 con "Ritratto di signora" ("The Portrait of a Lady", 1996), film di chiusura, fuori concorso, della 53. Mostra, tratto dal romanzo di Henry James e interpretato da Nicole Kidman e John Malkovich, e nel 1999 con "Holy Smoke", presentato in concorso alla 56. Mostra, con Kate Winslet e Harvey Keitel, scritto insieme alla sorella Anna Campion. "In the Cut", il suo ultimo lavoro interpretato da Meg Ryan, è basato sull’omonimo thriller erotico di Susanna Moore - che ha collaborato anche alla sceneggiatura del film - scelto per aprire il London Film Festival nel 2003. Nel 2006 scrive e dirige il cortometraggio "The Water Diary", realizzato in collaborazione con il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite per promuovere la campagna dedicata agli Obiettivi di Sviluppo del Millennio lanciata da Kofi Annan nel 2000. L’uscita del suo prossimo film, "Bright Star", interpretato da Abbie Cornish e Ben Whishaw - che narra la storia d’amore tra John Keats e Fanny Brawne, interrotta dalla prematura scomparsa del poeta a soli 25 anni - è prevista per l’inizio del 2008.

Emanuele Crialese (Italia)
Nato a Roma nel 1965, Emanuele Crialese, con soli tre film all’attivo, tra cui "Nuovomondo", vincitore del Leone d’Argento nel 2006 a Venezia, è già considerato in Italia e all’estero uno dei più affermati nuovi talenti del cinema italiano. Nel 1991 Crialese si trasferisce a New York dove si laurea nel 1995 presso il Dipartimento di Cinema della Tish School of the Arts, la facoltà di cinematografia e teatro più prestigiosa degli Stati Uniti. Dopo aver girato diversi corti, tra cui "Heartless" (1994), vincendo una menzione speciale a Capalbio Cinema, esordisce nel lungometraggio nel 1997 con "Once We Were Strangers". Opera in lingua inglese da lui scritta e prodotta, con i soldi ricavati dalla vendita di un paio di orecchini ricevuti in eredità dalla bisnonna, è interpretata da Vincenzo Amato, protagonista anche dei suoi successivi lavori. Con questo primo lavoro, in cui racconta l’amicizia di due immigrati, un italiano e un indiano che vivono a New York arrangiandosi tra mille lavoretti, Crialese partecipa nel 1998 (primo italiano nella storia della kermesse) al Sundance Film Festival di Robert Redford. Il film viene distribuito in Francia nel 1999, ma in Italia non esce mai nelle sale: solo da pochi mesi è disponibile in dvd. L’opera che però lo farà conoscere al pubblico e alla critica è "Respiro", che nel 2002 vince il premio come miglior film alla Settimana della Critica a Cannes. Il film, dopo aver entusiasmato la Francia, ottiene un notevole successo anche in Italia. Valeria Golino, che interpreta il ruolo della protagonista, vince il Nastro d'argento 2003 ed ottiene la nomination ai David 2003. "Respiro", ambientato a Lampedusa, narra la vicenda di Grazia, la giovane madre di un'adolescente e di due ragazzini, che cerca una vita più libera e felice, ma per questo viene considerata pazza dai suoi familiari, che cercheranno di farla internare in manicomio. In tutta la sua famiglia di poveri pescatori, sarà compresa solo da Pasquale, il figlio tredicenne. Il film, che rimanda alle atmosfere de "L’avventura" di Antonioni e de "L’atalante" di Jean Vigo, rivela l’originalità ed il notevole talento del regista romano, che crea un suo cinema personalissimo e raffinato. Prima di "Respiro" Crialese lavora, sempre negli Stati Uniti, anche in teatro e nel 1999 collabora con il produttore Bob Chartoff (lo stesso di "Toro Scatenato" e New York, New York) alla stesura di un adattamento cinematografico su Ellis Island, isoletta “anticamera” di New York, isola della “quarantena” e di smistamento, nonché primo alloggio per milioni di emigranti all'inizio del '900, in attesa di venire accettati negli U.S.A. Questo lavoro diventerà poi la spina dorsale di "Nuovomondo" ("Golden Door"), presentato nel 2006 alla 63. Mostra di Venezia e vincitore del Leone d’argento. “Ho passato un anno” ha dichiarato il regista “a studiare i documenti e le procedure che venivano applicate durante i primi vent’anni del Novecento. E lì ho scoperto che Ellis Island era anche una specie di laboratorio-archivio. Si procedeva immediatamente nell’individuare eventuali malattie: tracoma, tubercolosi, alcolismo, mancanza di funzionalità negli arti, cecità, tutte le imperfezioni che avrebbero potuto precludere al giovane emigrante la possibilità di lavorare e di guadagnare, venivano segnalate come imperfezioni, i loro portatori venivano rimpatriati all’istante. Coloro che si dimostravano fisicamente perfetti venivano sottoposti ad ulteriori test di intelligenza o test attitudinali: i primi test mentali applicati alla masse di cui si abbia traccia nella storia moderna”. Il film racconta, infatti, la vicenda della famiglia siciliana Mancuso che decide di vendere tutto e lasciare Agrigento per l'America e le sue promesse di prosperità. La pellicola, acquistata in 16 paesi europei, ha ottenuto, oltre al Leone d’Argento alla Mostra del 2006, 12 nomination ai David di Donatello 2007 (aggiudicandosene 3), 3 nomination ai Nastri d’argento 2007 e due Ciak d'oro tra cui quello per il miglior film dell’anno. "Nuovomondo" è stato scelto nel 2006 come film per rappresentare l'Italia nella corsa all'Oscar per il miglior film straniero.

Alejandro González Iñárritu (Messico)
Nato a Città del Messico nel 1963, Alejandro González Iñárritu, insieme ad Alfonso Cuarón e Guillermo del Toro è uno fra gli esponenti di punta del gruppo di cineasti messicani di recente affermatisi a Hollywood. La sua opera prima, "Amores Perros", è stato uno degli esordi più sorprendenti degli ultimi anni. Iñárritu inizia la propria carriera come DJ nel 1984 e successivamente realizza, produce e conduce di persona trasmissioni e servizi per la più grande radio messicana, la WFM. Nel 1987 realizza il programma televisivo “Magía digital” e nel 1988 inizia a comporre musica per film messicani. Studia cinema nel Maine e a Los Angeles, con il regista Ludwik Margules e con Judith Weston. Inizia poi a lavorare per Televisa, la più grande compagnia televisiva messicana. All'età di 27 anni diventa uno dei loro più giovani direttori artistici. Nel 1991 fonda Zeta Films, una società che produce cortometraggi e spot televisivi. Il suo primo mediometraggio si intitola "Detrás del dinero", (1995) prodotto per Televisa e con l'attore spagnolo Miguel Bosé. Successivamente, insieme allo sceneggiatore Guillermo Arriaga, comincia a programmare 11 cortometraggi che mostrino le contraddizioni di Città del Messico, ma dopo 3 anni i due decidono di riunire solo tre di queste storie nel lungometraggio "Amores Perros" (1999). Qui i tre nuclei narrativi e i destini dei personaggi, intrecciati con arguzia in un percorso circolare, confluiscono in una danza macabra dalle tinte grottesche, in cui chiunque ha modo di imparare, come sottolinea il motto di chiusura, che “noi siamo anche ciò che abbiamo perduto”. Il film ha un notevole successo, vince al Festival di Cannes il premio della Settimana della Critica, ottiene una candidatura all’Oscar come miglior film straniero e, con più di 60 riconoscimenti, diventa l’opera cinematografica più premiata nel mondo in quell’anno. Dirige nel 2002 il segmento messicano della pellicola "11 settembre 2001" ("11'09''01 - September 11"), evento speciale della 59. Mostra del Cinema di Venezia, un film collettivo in memoria della tragedia dell'11 settembre, diretto anche da Youssef Chahine, Amos Gitai, Shohei Imamura, Claude Lelouch, Ken Loach, Samira Makhmalbaf, Mira Nair, Idrissa Ouedraogo, Sean Penn, Danis Tanovic. La successiva pellicola di Iñárritu, "21 grammi" ("21 Grams", 2003), da lui ideata, diretta e prodotta, vede protagonisti Sean Penn, Benicio Del Toro e Naomi Watts e viene presentata con successo alla 60. Mostra di Venezia. Sia Del Toro, sia la Watts, ottengono la candidatura all’Oscar per i loro rispettivi ruoli nel film, mentre Penn si aggiudica la Coppa Volpi come miglior attore alla Mostra. "21 grammi" svela, come già "Amores Perros" e il successivo "Babel", la maestria di Iñárritu nel tessere complesse trame corali di destini incrociati, che portano a una riflessione sulla fragilità della vita, sul fato e sulla profondità dell’essere umano, che sembra collegato da un filo rosso ad altri uomini e donne. Nel 2006, Iñárritu realizza il suo terzo film, "Babel", con Brad Pitt, ultimo capitolo di una sorta di “trilogia del destino”, che gli è valso il premio come miglior regista al 59. Festival di Cannes, sette nomination ai Golden Globes e il premio per il miglior film drammatico, nonché sette nomination agli Oscar e il premio per la miglior colonna sonora originale al compositore argentino Gustavo Santaolalla. Iñárritu ha anche scritto, diretto e prodotto due cortometraggi, "Powder Keg" (2001) e "Darkness" (2002). Il regista è anche produttore per i prossimi film di Alfonso Cuarón (ancora senza titolo) e Carlos Cuarón ("Rudo y Cursi").

Ferzan Ozpetek (Turchia-Italia)
Nato a Istanbul, nel 1959, Ferzan Ozpetek, regista di emozioni e passioni forti, con sei film in dieci anni ha fatto irruzione nel recente paesaggio cinematografico italiano e mondiale. Maestro nell'accostare culture e mondi apparentemente distanti tra loro, Ozpetek è convinto assertore dell'arricchimento derivante dall'incontro pacifico e dall'integrazione fra "diversi", siano essi culturali, sociali o sessuali. Arrivato in Italia per studiare Storia del Cinema all'Università La Sapienza di Roma nel 1978, frequenta i corsi di Storia dell'Arte e del Costume all'Accademia di Navona e quelli di regia all'Accademia d'arte drammatica “Silvio D'Amico”. Dopo aver collaborato con Julian Beck e il Living Theatre, inizia nel 1982 l'attività di aiuto-regista, prima con Massimo Troisi e poi con Maurizio Ponzi per quasi tutti i suoi film successivi, nonché con altri cineasti come Lamberto Bava, Ricky Tognazzi, e Marco Risi. Viene incoraggiato e aiutato a compiere il passo verso la regia da Gianni Amelio ed Elio Petri. Ma è proprio Marco Risi, con la sua casa di produzione, la "Sorpasso Film", a produrre la sua prima opera: "Il bagno turco" (Hamam, 1997), vero e proprio omaggio alla terra d'origine del regista, con Alessandro Gassman nei panni di un architetto sposato, sconvolto dalla scoperta di un mondo culturale e sessuale completamente nuovo per lui. Il film, presentato a Cannes alla Quinzaine des Realisateurs, riscuote immediatamente un grande successo di critica e di pubblico sia in Italia (la pellicola ottiene 3 Globi d’oro e i produttori Marco Risi e Maurizio Tedesco vengono premiati con il Nastro d’argento), sia all’estero (numerosi i premi nei maggiori festival della Turchia). A questo seguirà "Harem Suaré" (1999), che racconta le vicende storiche, fortemente romanzate, dell'ultimo harem del sultano turco. La vera scoperta di Ferzan Ozpetek da parte del pubblico italiano avviene però con "Le fate ignoranti" (2001), intensa pellicola con Margherita Buy e Stefano Accorsi, che narra l’incontro di una donna - che ha da poco perduto il marito - con il giovane amante di quest’ultimo e con il gruppo di persone a cui egli è legato. Questo nuovo ambiente le insegnerà a guardare oltre i pregiudizi, e a vivere più intensamente. Il film, sorretto dall'accoppiata di produttori e sceneggiatori Tilde Corsi e Gianni Romoli, fa il giro del mondo dopo la presentazione al Festival di Berlino. Ottiene numerosi premi in Italia – tra cui 4 David di Donatello, 3 Nastri d’argento, 3 Globi d’oro – e incassa al botteghino circa 10 milioni di euro, consacrando Ozpetek nell'Olimpo dei nuovi registi emergenti. Grandissimo il successo anche del successivo "La finestra di fronte" (2003) con Giovanna Mezzogiorno, che racconta la presa di coscienza di una donna, anche grazie all’incontro con un anziano signore (il compianto Massimo Girotti), che ha perso la memoria. La pellicola diventa uno dei maggiori successi di pubblico e di critica del 2003 e conquista molti premi: 5 David di Donatello, 3 Nastri d’argento, 4 Ciak d’oro, 3 Globi di cristallo al Festival di Karlovy Vary, il premio come miglior film e il premio come “Maestro emergente del cinema internazionale” al Festival di Seattle 2004. Nel 2004 fa discutere "Cuore sacro", che narra il percorso di scoperta di sé da parte di una giovane speculatrice edilizia, interpretata da Barbora Bobulova, che rischia di trasformarsi in un viaggio nella “follia” dell’altruismo e del bene. Segue "Saturno contro" (2007), che dimostra ancora una volta la capacità del regista di mescolare in un equilibrio perfetto poesia e verità, e di dirigere e amalgamare con finezza formale e garbo stilistico cast di attori eterogenei. Il film ottiene 8 nomination ai David di Donatello (aggiudicandosene uno grazie ad Ambra Angiolini come miglior attrice non protagonista), 4 Nastri d’argento (per la sceneggiatura, l'attrice protagonista Margherita Buy, l’attrice non protagonista Ambra Angiolini e la migliore canzone originale, “Passione” di Neffa), 5 Globi d’oro della stampa straniera (miglior regia, migliore attrice a Margherita Buy e miglior attrice rivelazione ad Ambra Angiolini, miglior sceneggiatura a Ozpetek e Romoli, miglior musica a Neffa), 2 Premi Flaiano (migliore regista a Ozpetek e miglior attrice ad Ambra Angiolini), 4 Ciak d'oro tra cui il premio per la miglior regia, il premio alla miglior attrice rivelazione a Ambra Angiolini e il Ciak d'oro alla carriera a Milena Vukotic. A giugno il Napoli Film Festival gli ha dedicato una retrospettiva completa. Nel 2008 è atteso il suo nuovo film, "Un giorno perfetto", tratto dal romanzo di Melania Gaia Mazzucco, storia corale di diverse umanità che si incrociano nella Roma odierna. Il titolo è una citazione della canzone di Lou Reed “Perfect Day”.

Paul Verhoeven (Olanda)
Nato ad Amsterdam, Olanda, nel 1938, Paul Verhoeven è uno dei più coraggiosi ed innovativi autori del panorama cinematografico mondiale. Regista di quattro dei più importanti film olandesi, ha anche lavorato a lungo ad Hollywood, influenzando profondamente i codici di genere. La sua opera, ampiamente conosciuta presso il pubblico internazionale, va da "Basic Instinct" e "Robocop" ad "Atto di forza" ("Total Recall") e "Starship Troopers". Per quanto la sua filmografia possa apparire eterogenea, ciascun film rispecchia una visione intransigente, un’attrattiva verso i dilemmi morali della vita e la passione per il cinema. Si è creato la reputazione di regista con franche rappresentazioni della sessualità e della violenza. Paul Verhoeven comincia ad interessarsi al cinema e a girare i primi corti all'Università di Leiden, dove si laurea in matematica e fisica nel 1964. Arruolatosi nella Marina olandese, gira una serie di documentari per l'arma, tra cui uno che ne celebra il tricentenario: "The Marine Corps". Dopo il servizio militare realizza numerosi cortometraggi e comincia a lavorare per la televisione olandese. Nel 1969 realizza Floris, serie tv in 12 puntate di grande successo in Olanda, sulla storia di un cavaliere medioevale interpretato dall'attore Rutger Hauer, che in seguito apparirà in diversi film del regista. Già dai suoi primi lavori dimostra la sua attitudine per un tipo di cinema solido alla ricerca di equilibrio tra la forza, l’originalità del materiale narrativo e le esigenze della spettacolarizzazione. La sua opera d'esordio alla regia è la commedia "Gli strani amori" di quelle signore ("Wat zien ik", 1971), a cui seguono "Fiori di carne" ("Turkish Delight", 1973), candidato all’Oscar come miglior film straniero (nel 2000 è stato scelto come miglior film olandese del secolo), "Kitty Tippel" ("Keetje Tippel", 1975) e "Soldato d'Orange" ("Soldaat van Oranje", 1977). Svariati sono i temi affrontati da Verhoeven durante la sua carriera, e la sua produzione, divisa tra il periodo europeo e quello hollywoodiano, ha certamente come massimo comune denominatore la dualità di sessualità e violenza. Ne sono due esempi "Spetters" (1979), che racconta il mondo dei giovani, e il visionario "Il quarto uomo" ("De vierde man", 1982), con Jeroen Krabbé, un thriller hitchcockiano con molti excursus erotici, che si aggiudica il premio della critica internazionale al Toronto Film Festival, e afferma il suo nome anche a Hollywood. Dopo questo successo, si trasferisce infatti negli Stati Uniti, e nel 1985 realizza "L'amore e il sangue" ("Flesh+Blood"), presentato anche nella sezione Venezia Giovani della 42. Mostra. Due anni dopo è la volta di "Robocop" (1987), film-svolta della fantascienza “cyberpunk”, premio Oscar per i migliori effetti speciali sonori, seguito nel 1990 da "Atto di forza" ("Total Recall"), tratto da Philip K. Dick e interpretato da Arnold Schwarzenneger e la rivelazione Sharon Stone, premio Oscar per i migliori effetti speciali visivi. Le due pellicole, grandi successi al botteghino, diventano trampolino di lancio per l’affermazione mondiale di "Basic Instinct - Istinto di base" ("Basic Instinct" 1992), un thriller erotico giocato abilmente su elementi scandalistici e crudamente realistici, che ottiene due nomination sia agli Oscar, sia ai Golden Globes. Nuove controversie nascono nel 1995 con "Showgirls", film esplicito sui temi sessuali e spregiudicato cui, subito dopo, segue "Starship Troopers - La fanteria dello spazio" ("Starship Troopers", 1997), geniale e sconvolgente adattamento da un classico di fantascienza di R. Heinlein. Con "L’uomo senza ombra" ("Hollow Man", 2000), thriller feroce e provocatorio sul mito dell'uomo invisibile, Verhoeven si aggiudica il Prix du Public al Festival di Locarno. Rifiutata la regia di "Fast and Furious" e dei suoi sequel, torna alla regia con il più intimista "Black Book" ("Zwartboek", 2006), che affronta il tema della resistenza olandese, presentato con successo in anteprima mondiale all’ultima edizione della Mostra di Venezia, dove vince tra l’altro il premio collaterale Young Cinema Award. Il suo prossimo film, "Azazel", che avrà per protagonisti Milla Jovovich e Dan Stevens, è atteso per il 2009. Tratto da un romanzo di Boris Akunin, "Azazel" racconta le indagini svolte da un ex impiegato di governo sul misterioso suicidio di un ricco giovane nella Russia del diciannovesimo secolo.

Zhang Yimou (Cina)
Nato a Xi’an (provincia dello Shaanxi, Cina) nel 1950, Zhang Yimou, il cineasta che su tutto l’arco della storia della Mostra ha vinto il più alto numero di premi, entra nel 1978 all’Accademia di cinema di Pechino per seguire i corsi di specializzazione in fotografia, diplomandosi nel 1982. Viene allora assegnato agli Studi cinematografici del Guangxi, una realtà in qualche modo “decentrata” rispetto al pesante controllo censorio dei centri di produzione di Pechino e Shanghai, dove due altri diplomati (del corso di regia) dell’Accademia, Zhang Junzhao e Chen Kaige, stanno elaborando gli esplosivi “film-manifesto” della nuova corrente, di cui Zhang Yimou sarà il direttore della fotografia. Nel 1986 lavora con il regista Wu Tianming tanto come direttore della fotografia che come attore protagonista nel in "Il vecchio pozzo" ("Lao jing"). E’ sempre sotto l’impulso di Wu Tianming, divenuto nel 1987 direttore degli Studi di Xi’an, Zhang può finalmente realizzare il suo primo film da regista, "Sorgo rosso" ("Hong gaoliang", 1987), che adatta un fortunato romanzo di Mo Yan e vince l'Orso d'oro al Festival di Berlino del 1988, portando subito trionfalmente all'attenzione del pubblico e della critica nazionale e internazionale Zhang e la sua musa, l’attrice Gong Li. Il loro sodalizio artistico-sentimentale durerà per ben cinque film. Nel 1990 il film "Judou", co-diretto da Yang Fengliang e interpretato da Gong Li, è il primo film cinese ad essere candidato all'Oscar come miglior film straniero, dopo essere stato presentato in concorso al Festival di Cannes. L’anno seguente "Lanterne rosse" ("Da hong denglong gaogao gua") vince il Leone d'Argento alla 48. Mostra del Cinema di Venezia, e ottiene anche stavolta la nomination all'Oscar come miglior film straniero. Tanto "Judou" che "Lanterne rosse" vengono pesantemente censurati nella versione diffusa in Cina. Il film successivo "La storia di Qiu Ju" ("Qiu Ju da guansi", 1992), Leone d'Oro e Coppa Volpi per Gong Li a Venezia, passa miracolosamente il vaglio dei censori: dopo il successo del film alla Mostra, i film precedenti del regista vengono tolti dalla “lista nera”. Ma nuovi problemi di autorizzazione incontra il suo quinto film con Gong Li, "Vivere!" ("Huozhe", 1994), che adatta un celebre romanzo di Yu Hua e si aggiudica il Premio speciale della giuria e quello per la miglior interpretazione maschile al Festival di Cannes. Nel 1995 la sua carriera conosce una prima svolta verso il cinema di genere con il film di gangster "La triade di Shanghai" ("Yao ayao yao dao waipo qiao", 1995), che vince il Gran premio della tecnica al Festival di Cannes. I due film che seguono sono lanciati con successo alla Mostra di Venezia, per poi essere ripresi dai festival cinematografici di tutto il mondo e conoscere una bella fortuna distributiva: "Keep Cool" ("Yohua haohao shuo", 1997), e soprattutto "Non uno di meno" ("Yige dou buneng shao", 1999), che vince a Venezia il Leone d'Oro, il premio Lanterna Magica e il premio Sergio Trasatti - La Navicella dell'Ente dello Spettacolo. Nel 2000 con "La strada verso casa" ("Wo de fuqin muqin") si aggiudica l'Orso d'argento e il Premio della Giuria Ecumenica al Festival di Berlino, e in seguito il Premio del pubblico al Sundance Film Festival. Il film segna il debutto della nuova musa del regista Zhang Ziyi, che collaborerà con lui in altri tre film. Dopo il pluripremiato "La locanda della felicità" ("Xingfu shiguang", 2000), interpretato sempre da Zhang Ziyi, Zhang Yimou imprime al suo percorso una nuova e ancor più brusca sterzata verso il cinema di genere, - più precisamente verso il filone wuxia (marziale-cavalleresco), dapprima con "Hero" ("Ying xiong", 2002), candidato all'Oscar come miglior film straniero, e poi con "La foresta dei pugnali volanti" ("Shi mian mai fu", 2004). All'epoca in cui è stato girato, "Hero" era il più costoso film della storia del cinema cinese, distribuito internazionalmente in una nuova versione approntata dall’americana Miramax e presentata da Quentin Tarantino, grande ammiratore del cineasta cinese. Il film è stato uno tra i primi film sottotitolati (vale a dire, non doppiati in inglese) a toccare la vetta del box office americano. Due anni dopo, "La foresta dei Pugnali Volanti" ripete il successo internazionale del film precedente. Nel 2005 il film "Mille miglia…lontano" ("Qianli zou danqi") partecipa con successo al Festival di Tokyo. Il nuovo film di Zhang Yimou è ancora una volta un kolossal storico dal budget senza precedenti per la Cina, "La città proibita" ("Mancheng jindai huangjin jia"), tragedia epica ambientata nella Cina della dinastia Tang, che vede come protagonisti due degli attori cinesi più celebri in patria e all’estero: Gong Li, che a distanza di dieci anni torna a lavorare con il regista, e l’hongkonghese Chow Yun Fat. Il film funziona tanto come grande spettacolo che come metafora politica dell'equilibrio precario fra le vecchie e nove generazioni dei detentori del potere centrale in Cina.

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(13/07/2007)

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