Foto © Ottavia Da Re
| (10-06-2007) - UNA MOSTRA POP, NEL SEGNO DI TIM BURTON "Tim Burton è un genio del cinema, il figlio più fantasioso della nuova età dell'arte. Possiede un talento unico nell'impregnare di profondità emotiva le storie che racconta. Sa costruire paesaggi onirici di altissima visionarietà (che fanno appello all'eterno fanciullo che è in noi) senza mai perdere nè integrità estetica, nè - tanto meno - la sua naturale vicinanza a personaggi fuori norma. Più insolentemente pop della maggior parte dei nuovi registi di oggi, e meno desideroso di approvazione della maggior parte dei vecchi maestri, non c'è regista americano di successo che possegga un senso del cinema più spietato ed estremo del suo".
Con queste parole il direttore della Mostra del Cinema di Venezia Marco Muller ha motivato l'assegnazione del prossimo Leone d'Oro alla carriera che verrà consegnato a Tim Burton mercoledì 5 settembre presso la Sala Grande del Palazzo del Cinema, durante lo speciale "Tim Burton Day", giornata votata alla celebrazione della fantasia e delle suggestioni "burtoniane" con eventi a sorpresa che potrebbero culminare con l'arrivo in laguna di un'anteprima mondiale del suo ultimo film (o almeno di alcuni spezzoni), "Sweeney Todd", adattamento cinematografico dell'omonimo musical di Stephen Sondheim, grande successo a Broadway, prodotto da Warner Bros e DreamWorks. Un momento atteso con ansia dai fans, già in fibrillazione, che stanno affollando blog, forum e siti dedicati al geniale regista, a cui Venezia aveva già riservato nel 2005 una piccola mostra all'Hotel Excelsior con i pupazzi originali utilizzati in "Corpse Bride - La sposa cadavere" film presentato fuori concorso e vincitore morale della 62. Mostra del Cinema.
Così, dopo l'ovazione ottenuta proprio per il funereo cartoon diretto con Mike Johnson, capolavoro assoluto di animazione "stop-motion", tecnica artigianale già utilizzata nella produzione dell'antesignano (e all'epoca incompreso) "The Nightmare Before Christmas" (1993), folgorante fiaba noir presentata anch'essa un anteprima mondiale alla Mostra del 1994, non stupisce affatto la decisione della Biennale di conferire l'ambito riconoscimento alla carriera ad un regista che, a neanche 50 anni (è nato nell'agosto del '58), e 12 lungometraggi realizzati in 23 anni di cinema, ha dato prova di inesauribile visionarietà realizzando, in pochissimo tempo, opere spiazzanti nella loro versatilità e capaci di racchiudere in una "mise en scène" spesso goticizzante, romantica, surrealista e, più in generale, di grande contaminazione artistica, "le storie di una vita incredibile", come recita il protagonista di "Big Fish" (2003), forse il suo film più poetico e struggente. E dopo aver portato in scena la sua "sposa cadavere" con la compagna di vita Helena Bonham Carter, spesso trasfigurata per incarnare stupendamente le sue fantasie più recondite (vedi la vecchia strega di "Big Fish" o la scimmia Ari de "Il pianeta delle scimmie", 2001), il pallido regista californiano si prepara a ritornare al cinema assieme alla sua musa e al suo alter ego, Johnny Depp, che in "Sweeney Todd" veste i panni di un barbiere ingiustamente mandato in prigione per crimini non commessi e che, appena scarcerato, si vendicherà delle sofferenze inferte alla moglie e alla figlia, aprendo un nuovo negozio, non per tagliare la barba e i capelli dei suoi clienti ma per tagliar loro la testa...Atmosfere lugubri nell'Inghilterra vittoriana e volti spettrali per un quello che si annuncia come un altro stupefacente thriller in musical, e che potrà contare sulle affascinanti scenografie tutte italiane dei premi Oscar Dante Ferretti e Francesca lo Schiavo.
Una storia che ricorda altri due capolavori di Tim Burton con Johnny Depp protagonista come "Edward mani di forbice" (1990) e "Il mistero di Sleepy Hollow" (1999), in cui il regista affida all'impalpabile e poetico sguardo del suo attore feticcio, un'altra black comedy, a tratti dark, che tuttavia non rinuncia allo stravagante "sense of humour" e alla malinconica vena fantastica che porta il suo autore a mettere in scena ancora una volta una leggenda bizzarra e sinistra, grazie al volto da "poirot" plasmabile di un attore che ha saputo incarnare alla perfezione la sua visionarietà, spesso trasformandosi in una delle figure di plastilina tanto care al regista e divenendo lui stesso fonte di ispirazione e modello per le sue più suggestive creazioni (si veda Victor, il protagonista di "Corpse Bride" a cui Johnny Depp presta la voce e le sembianze). Film con cui ha spesso citato e, allo stesso tempo, messo alla berlina il rassicurante mondo disneyano che l'ha cresciuto artisticamente preferendo gli horror di Mario Bava (che annovera tra i suoi modelli citando "I tre volti della paura" film del '63 del regista italiano), i racconti di Edgar Allan Poe e le favole dei fratelli Grimm per trascinare lo spettatore nell'oscurità del mondo onirico di un fanciullino forse tradito dalla realtà che spesso trova nella fantasia e nel macabro mondo dell'oltretomba la rivincita su un'umanità cinica e grigia come le sue maschere di plastilina.
"Sono cresciuto nell'America suburbana, dove la gente ha paura della morte ed esistono culture come quella messicana in cui si celebra il Giorno dei morti, ed è una festa così divertente, con gli scheletri che fanno cose bizzarre, e io mi sono reso conto che era quello il luogo in cui volevo stare". Ha dichiarato Burton a proposito di "Corpse Bride".
Sarà per questo che nei suoi film fatti di cadaverini, spiritelli (chi non ricorda "Beetlejuice - Spiritello porcello" del 1988?) scheletri e mostri danzanti, l'aldilà è un'esplosione di colori e gioia, un carrozzone degno del finale di "8 e 1/2", girotondo irriverente intorno ad un mondo di automi già morti perché incapaci di vivere ("Perché salire quando chi muore scende?" recitano i protagonisti di "Corpse Bride").
Una "Fabbrica di cioccolato" (2005) e di immaginazione, il magico e folle regno di un outsider, affezionato al lato fragile e oscuro, quanto lirico, dei "perdenti" anche quando sono degli eroi come "Batman" (1989, e "Batman - Il ritorno", 1992), o dei registi dimenticati come "Ed Wood" (1995), disperati idealisti, emarginati dalla realtà ma paladini di un sogno. Direttore di un circo decadente e stucchevole allo stesso tempo in cui sfilano pupazzi con cui Tim Burton ha saputo coniare una poetica del brutto divenuta, cinematograficamente, immaginario horrorifico e sublime allo stesso tempo.
Sicuramente "pop". E felliniano, aggiungiamo noi, per la forza visionaria e fantastica della sua creatività, di una trasfigurazione che continua a incantare e stupire.
Come lui, eccentrici occhialoni blu, capelli ribelli e sguardo perennemente stralunato, autoironica figurina che sbeffeggia il mondo reale e crede ancora nei sogni.
Ottavia Da Re
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