(21-07-2006) - Presentata la 21. Settimana Internazionale della Critica 31 agosto – 9 settembre 2006
Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani S.N.C.C.I.
Presidente: Bruno Torri
La Biennale di Venezia
Presidente: Davide Croff
63. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia
Direttore: Marco Müller
21. Settimana Internazionale della Critica di Venezia
31 agosto – 9 settembre 2006
Commissione di selezione
Francesco Di Pace (Delegato generale)
Massimo Causo
Adriano De Grandis
Marco Lombardi
Silvana Silvestri
Segreteria SNCCI
Patrizia Piciacchia
Largo Leopardi 12 - 00185 Roma
Tel 06 4824713 - fax: 06 4825172 - sncci@ats.it – www.sncci.it
I sette film in concorso:
El Amarillo (“El Amarillo”) di Sergio Mazza
Argentina, 2006
Egyetleneim (Le mie uniche e sole ) di Gyula Nemes
Ungheria, 2006
A Guide to Recognizing Your Saints (Una guida per riconoscere i tuoi santi)
di Dito Montiel
USA, 2006
Hyena (Iena) di Grzegorz Lewandowski
Polonia, 2006
Le pressentiment (Il presentimento) di Jean-Pierre Darroussin
Francia, 2006
Sur la trace d’Igor Rizzi (Sulle tracce di Igor Rizzi) di Noël Mitrani
Canada, 2006
Yi Nian Zhi Chu - Do over (L’inizio di un anno) di Yu-Chieh Cheng
Taiwan, 2006
Evento speciale
La rieducazione di Davide Alfonsi, Alessandro Fusto, Denis Malagnino
Italia, 2006
Omaggio a Otto Preminger (1906-1986)
In collaborazione e con il contributo del Museo Nazionale del Cinema
e della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica
Bunny Lake is Missing (Bunny Lake è scomparsa), Gran Bretagna/USA, 1965
21. Settimana Internazionale della Critica
31 agosto – 9 settembre 2006
La Biennale di Venezia
e il Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani
presentano
il programma della 21. Settimana Internazionale della Critica
Inaugurata da un omaggio al grande Otto Preminger, in occasione del centenario della sua nascita e del ventennale della sua morte, quest’anno la Settimana Internazionale della Critica si ritrova curiosamente attraversata dal tema della “scomparsa”: sin dal suo film d’apertura, appunto, quel Bunny Lake is Missing realizzato dal regista austriaco nel 1965, incentrato sul misterioso rapimento di una bambina nella Londra degli anni Sessanta. Ma a ben vedere, in tutti i magnifici film di questa ventunesima edizione della SIC, nei sette in concorso come nell’ evento speciale di chiusura, ritroviamo forse casualmente, ma con una forte valenza simbolica, questa costante della ricerca e della sparizione: la ricerca di una nuova identità, delle tracce del proprio passato, di un non-luogo nel quale sparire, il ritrovamento e poi la perdita di un’illusione d’amore, la scomparsa di un padre che aveva agito da punto di riferimento in un’infanzia difficile.
Coincidenza simbolica, si diceva. Nella ricerca appassionata, da parte nostra, del miglior cinema internazionale degli esordi, obiettivo che ancora una volta si propone come imprescindibile missione della Settimana Internazionale della Critica, ci siamo imbattuti per caso in un tema che finisce col segnare anche il nostro rapporto col cinema italiano. Posti di fronte all’innegabile momento di crisi produttiva del nostro sistema cinematografico, il cui risultato è una restrizione drastica degli investimenti ed una riduzione evidente delle produzioni (figurarsi le opere prime), in attesa fiduciosa dei passi necessari a sbloccare questo empasse, quale poteva essere la nostra scelta? Non si tratta certo di demonizzare il giovane cinema italiano, tutt’altro: il ruolo della critica è quello di scoprire, di mostrare, di promuovere tendenze, linguaggi, forme di superamento dell’omologazione culturale. In questo senso la nostra scelta è stata quella di presentare, come unico esemplare italiano, un piccolo film auto-finanziato, realizzato in video da alcuni ragazzi dotati di idee, di sguardo filmico e di poche centinaia di euro. Necessariamente fuori concorso (anche per motivi tecnici), ma nella giusta cornice di un evento di chiusura che serva, al film, per dargli una giusta visibilità e, a noi, per concludere degnamente una selezione che in un anno di proliferazione e di competizione fra “feste” e festival, e di restringimenti più o meno naturali di budget, riveste sempre più i panni di una scommessa. Vinta? Sta a voi giudicarlo. (Francesco Di Pace)
I film della 21. Settimana Internazionale della Critica:
EL AMARILLO (“El Amarillo”) di Sergio Mazza, Argentina, 2006
Un giovane misterioso ma ingenuo approda in un luogo sperduto, dove le uniche persone viventi si concentrano nel malmesso baretto del paese, “El amarillo”. La sua ricerca di pace e di lavoro gli faranno trovare l’amore. La nuovissima generazione del cinema argentino si dedica, dopo le urgenze drammatiche post-crisi, alla riflessione e ai silenzi, mescolando l’amore per i luoghi e la natura, alla musicalità e all’ironia surreale.
EGYETLENEIM (Le mie uniche e sole) di Gyula Nemes, Ungheria, 2006
Un “ragazzo che amava le donne” in movimento frenetico per le strade di Budapest, sempre alla ricerca di nuovi incontri e ulteriori rapporti. L’illusione di un amore metterà forse fine al suo bisogno di perdersi nella superficialità delle emozioni. Un saggio di scuola virtuosistico e imbevuto dei sapori della “nouvelle vague” ungherese e ceca.
A GUIDE TO RECOGNIZING YOUR SAINTS (Una guida per riconoscere i tuoi santi)
di Dito Montiel, U.S.A., 2006
Il ritorno a casa di Dito, giovane scrittore che vive in California: il rapporto conflittuale con il padre malato, l’ormai superata storia d’amore con Laurie e le strade del quartiere che lo videro ragazzo, quello di Astoria nel Queens, New York, contribuiscono ad evocare i ricordi di quegli anni fondamentali per la sua esistenza. Un film personalissimo, realizzato da un regista di talento scoperto dall’attore Robert Downey jr., che interpreta Dito adulto, in compagnia di un cast di rilievo (Chazz Palminteri, Dianne Wiest, Rosario Dawson). Prodotto da Sting e da sua moglie Trudie Styler. Premio della regia all’ultimo Sundance.
LE PRESSENTIMENT (Il presentimento) di Jean-Pierre Darroussin, Francia, 2006
Charles Benestau, avvocato dell’alta borghesia, lascia la moglie, la famiglia e il lavoro e finisce col vivere, in modo solitario e anonimo, in un quartiere popolare di Parigi. Un film sul cambiamento, sulla ricerca di un’altra identità che dia un nuovo senso alla propria vita. L’attore preferito di Guédiguian debutta nella regia adattando un romanzo di Emmanuel Bove, prestando al personaggio di Benestau la sua faccia e il suo corpo, in un film personale e sentito, tutto dentro all’estetica di un cinema francese fatto di parole e di deambulazioni esistenziali, sospeso tra la vita e il presentimento della morte.
HYENA (Iena) di Grzegorz Lewandowski, Polonia, 2006
In un villaggio della Slesia, un ragazzino vive il momento di passaggio dai giorni della paura a quelli della maturita’: rimasto orfano del padre, si confrontera’ con le minacce, vere o soltanto immaginate, che assediano il villaggio, che si manifestano sotto le sembianze evocate di una misteriosa “iena” che uccide, o sotto quella di un uomo dal volto orrendamente sfigurato, in fuga dal passato. Un esordio supervisionato da Zanussi, un thriller che affonda le sue radici in tutto un patrimonio letterario (Grimm, Stevenson), ma che gioca con i segni e i personaggi dell’horror contemporaneo in maniera estremamente elegante ed originale.
SUR LA TRACE D’IGOR RIZZI (Sulle tracce di Igor Rizzi) di Noël Mitrani, Canada, 2006
Un ex calciatore ha perso tutto: lavoro, denaro, amore. Ormai fantasma di se stesso, vive col rimpianto di quello che non è stato in grado di essere. L’occasione di una svolta gli viene dall’incarico di uccidere, per soldi, un uomo sconosciuto, Igor Rizzi. Una commedia “noir” stralunata e compassata, debitrice nei confronti dei movimenti esistenziali alla Jarmusch e della surrealtà di un Kaurismaki. Un felice esordio registico di un canadese di cultura francese.
YI NIAN ZHI CHU / DO OVER (L’inizio di un anno) di Yu-Chieh Chieng, Taiwan, 2006
Un giovane regista e’ alle prese con il controverso finale del suo film; suo fratello maggiore, boss della mafia cittadina, si sente minacciato da tutti; un timido assistente sul set cerca di dichiarare il suo amore alla star del film; uno degli uomini del boss, immigrato clandestino, vuole che gli sia finalmente dato il passaporto per andare a trovare il padre malato in Thailandia; un piccolo spacciatore trascorre la notte di capodanno in discoteca, sospeso tra droghe e vuoti di memoria, mentre una sua amica incontra il giovane regista e si spinge con lui in un viaggio fuori dalla realtà… Il destino di molte persone in bilico sulla notte di capodanno, sospeso tra ciò che è stato e ciò che sarà delle loro vite. Una delle sicure scoperte di questa Settimana: bagliori di neon, fughe psichedeliche, corse in macchina felliniane, figure enigmatiche, amicizie che finiscono nella luce fredda dell’alba, incontri che si schiantano nella prospettiva di un futuro enigmatico come la faccia oscura della luna. Premiato come miglior film sia dalla giuria che dal pubblico al recentissimo Festival di Taipei.
Evento speciale – Film di chiusura
LA RIEDUCAZIONE di Davide Alfonsi, Alessandro Fusto, Denis Malagnino, Italia, 2006
Un giovane laureato della provincia romana passa le giornate facendo del volontariato in parrocchia. Un giorno il padre decide di fargli affrontare le responsabilità della vita vera: prima lo manda a lavorare in un cantiere edile, poi gli toglie la casa ed i viveri. Commedia d’esordio girata in video e in bianco e nero, divertente e solo apparentemente inconsapevole, nella sua artigianalità, realizzata da tre ragazzi dotati di idee, senso del cinema e di poche centinaia di euro. Un caso emblematico di come il giovane cinema italiano riesca ad esprimere un senso facendo di necessità virtù, in attesa di una sempre attesa nuova ridistribuzione delle risorse.
Omaggio a Otto Preminger (1906-1986) – Film d’apertura
BUNNY LAKE IS MISSING (Bunny Lake è scomparsa) di Otto Preminger, Gran Bretagna/USA 1965
Nella Londra degli anni Sessanta, l’ispettore Newhouse indaga sul misterioso rapimento di una bambina, Bunny Lake, figlia illegittima di Ann, una nevrotica ragazza americana appena giunta in Inghilterra per raggiungere il fratello Stephen. Ma esiste davvero la piccola Bunny, o non è tutto il frutto della mente malata di Ann?
In occasione del centenario della nascita e del ventennale della morte di Otto Preminger, la Settimana Internazionale della Critica, in collaborazione e con il contributo del Museo Nazionale del Cinema e della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, presenta, in una copia recentemente restaurata dalla Sony Pictures, di uno dei suoi capolavori misconosciuti, uno psycho-thriller realizzato nella Londra degli anni Sessanta, interpretato da Laurence Olivier, da Carol Lynley e Keir Dullea.
I sette film presentati in competizione concorrono a due premi
1. Premio Settimana Internazionale della Critica
I sette film verranno giudicati da una giuria di critici cinematografici che assegneranno 3.000 euro al regista del film premiato.
2. Le opere prime selezionate concorrono inoltre, insieme a tutti gli altri lungometraggi d’esordio presentati dalla Mostra, al Leone del Futuro - Premio Venezia Opera Prima "Luigi De Laurentiis" di 100.000 euro, messi a disposizione da Filmauro. Al regista andranno inoltre 20.000 metri di pellicola offerti da Kodak.
Anche quest’anno la Settimana Internazionale della Critica si avvale dell’importante contributo della BNL, una banca da sempre attiva nel sostegno al cinema italiano e alle manifestazioni internazionali.
Si ringraziano inoltre per il loro contributo la Regione del Veneto, FNAC – Italia, gruppo di distribuzione elettronico editoriale e Fiat Auto – Lancia.
LE SCHEDE DEI FILM
EL AMARILLO (“El Amarillo”)
Argentina, 2006, 35mm, col., 90’
Regia Sergio Mazza. Sceneggiatura: Sergio Mazza. Scenografia: Sergio Mazza. Fotografia: Luis Cámara. Montaggio: Nicolás Moro, Mercedes Oliveira, Sergio Mazza. Musica:Gabriela Moyano e AAVV. Interpreti: Gabriela Moyano, Alejandro Barratelli, Myrtha Frattini. Produzione: Masa Latina. Distribuzione internazionale: Film Sharks International.
E’ la storia di un approdo in un luogo sperduto, l’ultima spiaggia di un giovane ingenuo in cerca di pace e lavoro. Offre i suoi servigi nell’unico baretto malmesso del paese, “El Amarillo”, dove resta colpito dal fascino della cantante, una bruna dalla voce malinconica e appassionata, nella quale intravede le ferite del destino. Il giovane non si allontana più dalla casa della donna e un po’ alla volta riesce a rendersi utile finendo come tenero protettore di quello che si scoprirà essere un bordello di campagna dove esercitano donne certamente non più giovani.
L’Argentina come non luogo, come zona di frontiera dimenticata in cui si muovono esseri umani provati, ma non vinti del tutto e con inaspettate risorse, è il misterioso spazio raccontato da “El Amarillo”. Dopo quasi dieci anni di fermento cinematografico in cui sono stati esplorati tutti i linguaggi, i personaggi, le trasformazioni e gli umori del paese, troviamo qui un momento di sospensione, di riflessione e silenzio, dove si evidenziano almeno tre elementi da non dimenticare: l’immenso territorio legato alla storia del paese, in questo caso la regione di Entre Rios che si insinua tra Paraguay, Uruguay e Brasile, attraversata dai fiumi (come dice il suo nome); la musicalità che si esprime non solo con il tango di esportazione, ma anche con altre tipiche sonorità; il sottile senso dell’umorismo, elemento principale di questo film che esibisce un dialogo quasi inesistente, ma tutti i possibili sottintesi di una condizione umana che, più è delicata, più si trova in situazioni improbabili.
Sergio Mazza è nato in Argentina nel 1976. Dopo aver studiato cinema presso l’Università di Buenos Aires, si è dedicato alla fotografia e alle arti plastiche. Ha realizzato numerosi cortometraggi e ha lavorato come regista di pubblicità. Ha fatto parte del gruppo di percussioni Toro Santo e ha inoltre lavorato nel teatro come regista. Attualmente sta preparando il suo secondo lungometraggio, Triple frontera.
EGYETLENEIM (Le mie uniche e sole)
Ungheria, 2006, 35mm, col., 76’
Regia: Gyula Nemes. Sceneggiatura: Tamás Beregi, László Garaczi, Gyula Nemes. Fotografia: Balász Dobóczy. Montaggio: Ágnes Völler. Suono: Ottó Oláh. Musica: Dj Palotai. Interpreti: Krisztián Kovács, Orsi Tóth, Ágnes Kovalik, Ági Szép, Eszter Tompa, Kata Nemes Takách. Produzione: Mediawave 2000 Kft.
Gli ultimi giorni di una storia d’amore ormai al capolinea, con il giovane protagonista sempre pronto a inseguire ragazze per le strade di Budapest, alla ricerca di nuovi incontri e ulteriori rapporti.
Una commedia sull’erotismo ossessivo, ma in un senso più surreale che pratico, scandito dall’escalation incontrollata del protagonista, soffocato dalla sua stessa affannosa e quasi clownesca ricerca, in una sorta di enciclopedica catalogazione di possibili avventure. E al tempo stesso anche un dramma sentimentale su un amore finito, con il senso inevitabilmente disperato che lo accompagna, tra scene madri, incomprensioni e bugie urlate, puntuale contrappunto narrativo all’interno di un frullato stilistico esasperato e schizofrenico, frantumato in una collana interminabile di inquadrature sparate come fuochi d’artificio.
Sarebbe ingiusto limitare la lettura del film a una prova di virtuosismo continuo fine a se stesso (in questo film fortemente frammentato c’è spazio anche per sequenze più dilatate, che culminano in un lunghissimo e ardito piano-sequenza), perché tra il bombardamento di immagini e le improvvise decelerazioni, le convergenze parallele della doppia personalità del racconto diventano vera e propria struttura narrativa, dove convogliano, nella loro essenza, echi del cinema ceko e ungherese, in un ulteriore rimando e specchio di una vitalità registica, così abbondante senza soffocare e così fantasiosa senza concedere il fianco all’accusa di essere soltanto esornativa.
Gyula Nemes è nato a Vác in Ungheria nel 1974. Si è diplomato alla prestigiosa Scuola Famu di Praga, sotto la direzione di Vera Chytilová e Karel Vachek, dove ha realizzato il suo lungometraggio di esordio, Egyetleneim. Il suo primo film è il cortometraggio Papagáj, ispirato alle opere dell’intellettuale ceco Bohumil Hrabal, e il suo documentario A mulandóság gátja è stato selezionato in concorso al festival internazionale di Karlovy Vary nel 2004.
A GUIDE TO RECOGNIZING YOUR SAINTS (Una guida per riconoscere i tuoi santi)
U.S.A., 2006, 35mm, col., 98’
Regia: Dito Montiel. Sceneggiatura: Dito Montiel. Fotografia: Eric Gautier. Scenografia: Cherish Magennis. Montaggio: Christopher Tellefsen, Jake Pushinsky. Musica: Jonathan Elias. Costumi: Sandra Hernandez. Interpreti: Robert Downey, Jr., Shia LaBeouf, Chazz Palmintieri, Diane Wiest, Rosario Dawson, Channing Tatum. Produzione: Xingu Films Productions, First Look Studios. Distribuzione internazionale: First Look Studios.
Dito è un giovane scrittore che vive in California, lontano da New York, dove è nato e cresciuto nel quartiere di Astoria, Queens. Una telefonata della madre lo richiama a casa, dove ad attenderlo ci sono il non risolto rapporto conflittuale con il padre malato, l’ormai superata storia d’amore con Laurie e soprattutto i fantasmi dell’estate del 1986, quando, poco più che adolescente, scorazzava per le calde strade del quartiere con gli amici Antonio, Giuseppe e Nerf. Fu in quei giorni, vissuti nel segno degli affetti mancati e della rivalità con una banda di ragazzi neri, che il destino di Dito e dei suoi amici si risolse in una serie di drammatici eventi che avrebbero segnato per sempre le loro esistenze.
Gli anni Ottanta, l’ombra del quartiere, gli umori irrequieti della giovinezza che si libera dall’adolescenza, i primi amori che si lasciano turbare dal sesso, la sfida dell’affetto degli amici, la fedeltà alla banda, il riflesso opaco della famiglia, l’amore della madre e del padre, il guscio protettivo del vicinato che si rompe nella violenza incombente della strada… Nell’opera prima che Dito Montiel ha tratto dalle sue memorie c’è tutto l’apparato dell’autobiografia che si fa ricordo seguendo le tracce del tempo tradito. Ma se lo schema è quello classico (le culture e i caratteri del melting pot, tra italiani, irlandesi e neri), lo sguardo che questo esordiente adotta è capace di trascrivere con una sensibilità davvero sorprendente la flagranza dei sentimenti e delle emozioni, che rende vibrante e libera da manierismi la ben nota traccia della rievocazione. Adottando una struttura narrativa che guarda agli eventi rievocati attraverso la trasparenza del tempo presente, Dito Montiel riesce a spiazzare la semplicità del flashback in un rapporto con i ricordi che, per quanto drammatizzati nella messa in scena, risuonano sempre di umori troppo autentici per essere traditi nelle formule o negli schemi affettuosi del “graffito” cinematografico. Prodotto da Sting e da sua moglie Trudie Styler, A Guide To Recognizing Your Saints porta all’esordio un giovane regista newyorkese dal talento innato, scoperto da Robert Downey, Jr. in un reading californiano delle sue memorie di quartiere e da lui spinto sul set di un’opera premiata per la regia all’ultimo Sundance Film Festival. Oltre a Robert Downey, Jr., che interpreta il protagonista da adulto, al film danno il loro formidabile apporto anche Chazz Palmintieri, Dianne Wiest e Rosario Dawson.
Dito Montiel è nato e cresciuto ad Astoria, nel Queens newyorkese. Espulso da scuola, fa ogni tipo di lavoro (da venditore di frutta e noccioline a dogsitter) e si accosta alla musica hardcore, cantando in una band della scena newyorkese. Trasferitosi in California, scrive e pubblica le sue memorie, che durante un reading attirano l’attenzione di Robert Downey, Jr. Accettato nei corsi di sceneggiatura e regia del Sundance Institute, dove qualcuno l’ha iscritto a sua insaputa, Montiel sviluppa qui il progetto di questo suo primo film.
HYENA (Iena) di Grzegorz Lewandowski
Polonia, 2006, 35mm, col. – b/n, 89’
Regia: Grzegorz Lewandowski. Sceneggiatura: Grzegorz Lewandowski. Fotografia: Arkadiusz Tomiak. Montaggio: Andrzej Tomczak. Scenografia: Marek Zawierucha, Sebastian Gomulka. Suono: Artur Kuczkowski. Musica: Grzegorz Kazmierczak. Interpreti: Borys Szyc, Magdalena Kumorek, Krzysztof Dracz, Jakub Romanowski. Produzione: Skorpion Art Film.
In un villaggio della Slesia, lungo la strada che porta a scuola, Maly, il piccolo protagonista e i suoi compagni commentano storie spaventose raccontate dai genitori riguardo a un uomo violento che causò la fuga del figlio. Il padre di Maly un giorno muore misteriosamente in un incidente in miniera e poco dopo si sparge la voce che una iena è fuggita e minaccia gli abitanti. Un individuo in fuga orribilmente sfigurato torna nel carrozzone dove un tempo abitava l’uomo dei racconti che spaventano i ragazzi. Maly lo aiuta portandogli del cibo e nel frattempo scompaiono anche un altro misterioso personaggio che i ragazzi ogni giorno incontravano sulla strada, e, via via, l’anziano postino e la piccola amica di Maly. L’ipotesi che dietro queste morti ci sia la misteriosa “Hyena” diventa più che un sospetto per il sensibile ragazzino.
Attraverso la figura del piccolo Maly, ragazzino sensibile e presto orfano di un padre del quale sentiva ancora il bisogno, “Hyena” ci racconta le paure infantili, il loro modo di affrontarle e superarle, in un mondo dove tutto diventa sempre più minaccioso. Il racconto è filtrato attraverso la sensibilità per una letteratura che oscilla tra Stevenson e Grimm, e soprattutto le evidenti citazioni del cinema horror americano degli anni ottanta, in una interessante rilettura di alcuni personaggi emblematici alla Freddy Kruger, nel cui intimo e nelle cui motivazioni più profonde il film sembrerebbe voler indagare.
Racconto horror così consono al cinema polacco per la sua qualità sul piano allusivo e metaforico, “Hyena” è però anche, in secondo piano, un thriller. Tema centrale del film in ogni caso sembra essere la trasformazione subita dal paese, in senso politico e industriale, colpito anche dalle minacce internazionali o più locali, come i gravi livelli di inquinamento che hanno interessato intere zone dell’Europa centrale e dell’est, senza dimenticare le incognite del neocapitalismo. Alla qualità visiva e produttiva del film ha contribuito la supervisione artistica di Krzysztof Zanussi.
Grzegroz Lewandowski è nato in Polonia nel 1959. Ha lavorato come regista e come sceneggiatore per il cinema. Nel 1999 si è laureato in Regia all’Università Salesiana ed ha collaborato con numerosi registi polacchi, tra i quali Jan Jakub Kolski, e Zbigniew Kaminski. Ha inoltre scritto e curato vari programmi televisivi. Hyena è il suo lungometraggio d’esordio.
LE PRESSENTIMENT (Il presentimento)
Francia, 2006, 35mm, col., 100’
Regia: Jean-Pierre Darroussin. Sceneggiatura: Jean-Pierre Darroussin e Valérie Stroh, tratto dal romanzo “Il presentimento” di Emmanuel Bove. Fotografia: Bernard Cavalié. Montaggio: Nelly Quettier. Scenografia: Michel Vandestien. Suono: Jean-Pierre Duret. Musica: Albert Marcoeur. Interpreti: Jean-Pierre Darroussin, Valérie Stroh, Amandone Jannin, Anne Canovas, Nathalie Richard, Hippolyte Girardot, Laurence Roy, Alain Libolt. Produzione: Agat Films & Cie, Bac Films, France 2 Cinéma. Distribuzione internazionale: Bac Films International.
Charles Benestau si stacca dalla grande borghesia alla quale appartiene. Lascia la moglie, la famiglia e il suo lavoro d’avvocato e finisce col vivere, in modo solitario e anonimo, in un quartiere popolare di Parigi. Il suo desiderio di diventare un’altra persona gli fa scoprire nuove possibilità.
E’ la storia di un cambiamento. Una migrazione ambientale che diventa il ripudio di una classe sociale, la necessità di azzerare il proprio rapporto con il mondo e farlo rinascere con altri sguardi, necessità e urgenze. Una commedia che si fa dramma esistenziale tramite un percorso progressivo, quasi ineluttabile, che procede per piccoli ma significativi strappi, fino a stravolgere i canoni quotidiani: il borghese avvocato si denuda della propria identità e dei propri averi, consegna anima e denari ad altre cause, scopre il senso cristologico della vita, cerca un’utilità finora sconosciuta. E’ un film molto dentro l’estetica del cinema francese, con lunghi e verbosi colloqui, chiuso negli interni soffocanti, ma anche pronto a riscoprire il fascino della vita scandita al ritmo della corte esterna, palcoscenico vitale della collegialità popolare, così lontana dalle riservatezze delle classi sociali più agiate.
E’ un film sulla volontà: non tragga in inganno il passo quasi da sonnambulo del protagonista. In realtà il suo è un caparbio, risoluto e rigoroso salto di carreggiata, affrontato con il presentimento che la vita richieda, prima o poi, scelte coraggiose e definitive, cancellazioni necessarie e ripartenze dolorose, non senza lasciarsi alle spalle il trauma personale e altrui di ribaltamenti così radicali, avvertendo un senso di morte che accompagna, nel mezzo del cammino della vita, ogni piccola grande azione della propria esistenza.
Grande prova di Jean-Pierre Darroussin, attore feticcio di Guédiguian, che qui passa per la prima volta anche dietro la macchina da presa, adattando il romanzo omonimo di Emmanuel Bove.
Jean-Pierre Darroussin è nato a Courbevoie, in Francia nel 1953. Consegue gli studi all’accademia d’arte drammatica di Parigi e dopo aver lavorato nel film Le psy di Philippe de Broca e aver infiammato le scene teatrali negli anni Ottanta, inizia la sua collaborazione con Guédiguian, destinata a durare moltissimi anni e a consacrarlo al successo. Il ruolo che però lo rende celebre è quello di uno hippie nel film Mes meilleurs copains del 1989 di Jean-Marie Poiré. Collabora con numerosi registi, come per esempio Agnès Jaoui e Jean-Pierre Bacri, con Cédric Kahn, Betrand Blier e Jean-Pierre Jeunet. Nel 1997 vince il premio César per il Secondo Migliore Ruolo Maschile per il film Un air de famille. Esordisce alla regia nel 1992 con il corto C’est trop con prodotto da Guédiguian, che vince il premio della regia europea ad Angers.
SUR LA TRACE D’IGOR RIZZI (Sulle tracce di Igor Rizzi)
Canada, 2006, 35 mm. Col. 91’
Regia:Noël Mitrani . Sceneggiatura: Noël Mitrani. Fotografia: Christophe Debraize-Bois. Musica: Tim Buckley, Bobby Vinton, Emmylou Harris, Bill Monroe, Trace Adkins. Interpreti:Laurent Lucas, Pierre-Luc Brillant, Isabelle Blais, Emmanuel Bilodeau. Produzione: StanKaz Films.
Un ex calciatore ha perso tutto il proprio denaro a causa di un investimento sbagliato. Anche la sua vita sentimentale è a pezzi, non avendo saputo tenere con sé la donna della sua vita. Un giorno gli viene offerta una cifra significativa in cambio dell’uccisione di un uomo mai incontrato prima, un certo Igor Rizzi. Le vicende che gli capiteranno saranno le tappe del suo cambiamento di vita, in un processo quasi surreale di rimozione definitiva delle scorie del passato.
Sono molti i rimandi cinematografici suggeriti da questo anomalo film, “canadese per caso”, e dal suo protagonista, un incrocio imperfetto tra il Forrest Gump “giocatore di football americano” ed il prototipo dell’idiota dostoevskijano. L’ironia presente costantemente in tutta la narrazione - leggera e grottesca allo stesso tempo - fa pensare ai fratelli Coen, e non solo per la presenza di montagne di neve, come in Fargo; i silenzi, tanto prolungati, quanto densi di cose, richiamano invece sia l’intelligente follia di Jim Jarmusch, quanto la delicata surrealtà di Kaurismaki.
Il risultato finale di questa sorprendente opera d’esordio di un regista dalla doppia nazionalità francese/canadese, è però qualcosa di diverso dai suoi cine-ingredienti di partenza, data l’equilibrata armoniosità con cui i sapori del film si mescolano, senza confondersi. Anche la voce fuori campo, croce e delizia di molto cinema giovane contemporaneo, è usata in maniera mirata e funzionale alla storia, che si sviluppa come un monologo ”visuale” di un morto vivente in un mondo di aspiranti morti, di corpi nascosti e di fantasmi del passato.
Noël Mitrani è nato a Toronto nel 1969. Dopo gli studi di storia e filosofia presso la Sorbona a Parigi lavora come disegnatore e illustratore. Inizia a muovere i primi passi come regista attraverso la scrittura, e nel 1999 realizza il suo primo cortometraggio, After Shave, cui ne seguiranno altri tre nei due anni successivi. Nel 2005 fonda la società di produzione StanKaz Films e realizza il suo primo lungometraggio con l’attore francese Laurent Lucas.
YI NIAN ZHI CHU / DO OVER (L’inizio di un anno)
Taiwan, 2006, 35mm, col., 113’
Regia: Yu-Chieh Cheng. Sceneggiatura: Yu-Chieh Cheng. Fotografia: Jake Pollock; Scenografia: Tien-Chue Lee. Montaggio: Po-wen Chen, Chuen-Hsiou Liu. Musica: Giong Lim. Costumi: Yen-Miao Lin. Interpreti: Zong-Hua Tuo, Ching-Guan Wang, An-An Shu, Chien-wei Huang, Ying-Shuan Kao, Yu-Luen Ko, Rong-Rong Chang. Produzione: Top Film Corporation, Leader Entertainment Corporation Ldt.
Un giovane regista è alle prese con il controverso finale del suo film e con il fratello maggiore, boss della mafia cittadina, che si sente minacciato da tutti; un timido assistente sul set cerca di dichiarare il suo amore alla star del film; uno degli uomini del boss, immigrato clandestino, vuole che gli sia finalmente dato il passaporto per andare a trovare il padre malato; un piccolo spacciatore trascorre la notte di capodanno in discoteca, sospeso tra droghe e vuoti di memoria, mentre una sua amica incontra il giovane regista e si spinge con lui in un viaggio fuori dalla realtà… Il destino di tutte queste persone è in bilico sulla notte di capodanno, sospeso tra ciò che è stato e ciò che sarà delle loro vite.
Un dramma trasversale che si spinge sulle ventiquattr’ore dell’ultimo dell’anno, tenendosi sospeso sul paradosso esistenziale di un pugno di personaggi aggrappati ai propri desideri, ai timori, agli atti mancati e ai rimorsi immaginati. L’intreccio tiene insieme in un’ottica complessa le pulsioni di generi anche divergenti, tra romance, yakuza e quant’altro. Il cinema offre a questo giovane regista il set su cui mettere in scena il destino di figure che vivono nel timore di non vivere, amano pensando di non amare, fuggono credendo di restare, aggrappate a atti non compiuti, a identità non definite, ad attese mai del tutto realizzate né tradite. Lo stratagemma del film nel film non si esaurisce nel gioco speculare tra realtà e desiderio, ma si offre al bisogno del regista di mettere in scena i suoi personaggi nel doppio registro delle loro potenzialità esistenziali, dove ogni nuova scena è una possibilità di rinascita. Un esordio segnato da un ritmo notturno e magmatico, in cui le accelerazioni e le sospensioni, la dolcezza e la crudeltà vanno di pari passo. Bagliori di neon, fughe psichedeliche, corse in macchina felliniane, figure enigmatiche, amicizie che finiscono nella luce fredda dell’alba, incontri che si schiantano nella prospettiva di un futuro enigmatico come la faccia oscura della luna: Do Over è un esordio di grande maturità stilistica ed espressiva, baciato da una fotografia capace di definisce contorni e spessore delle scene e delle figure, e non privo di virtuosismi sia narrativi (il turnover tra spazio e tempo) che visivi (il pestaggio in pianosequenza soggettivo). Presentato al Fetival di Taipei, il film ha vinto sia il premio per il miglior film che quello del pubblico.
Cheng Yu-Chieh è nato nel 1977 e ha diretto due cortometraggi (Babyface, 2000, e Summer Dream, 2001) mentre studiava economia alla National Taiwan University. Summer Dream è stato presentato nei festival di Vancouver, Pusan e Tokyo. Yi Nian Zhi Chu - Do over è il suo primo lungometraggio.
Evento speciale – Film di chiusura
LA RIEDUCAZIONE
Italia, 2006, video, b/n, 96’
Regia: Davide Alfonsi, Alessandro Fusto, Denis Malagnino. Sceneggiatura: Davide Alfonsi, Denis Malagnino, Daniele Guerrini. Fotografia: Alessandro Fusto. Montaggio: Alessandro Fusto, Daniele Malagnino. Intepreti: Marco Donatucci, Denis Malagnino, Pablo Sallusti, Gianluca Tiberi, Daniele Malagnino, Massimo de Sanctis, Massimo Pasquali, Daniele Guerrini, Gennaro Romano, Vincenzo di Nota, Alessandra Alfonsi, Don Romano, Alessandro Fusto, Elisabetta Bugatti. Produzione: Amanda Flor.
Un giovane laureato della provincia romana passa le giornate facendo del volontariato in parrocchia. Un giorno il padre decide di fargli affrontare le responsabilità della vita vera: prima lo manda a lavorare in un cantiere edile, poi gli toglie la casa ed i viveri. Per il ragazzo sarà durissima.
Ecco la medicina contro l’incertezza di molte opere prime italiane, a corto di investimenti ed idee: fare un film apertamente artigianale che costa soltanto qualche centinaio di euro, ma ha dalla sua il respiro del cinema e il coraggio della verità, quella non ideologizzata. Se la scelta del bianco e nero sembrerebbe quasi un modo per dichiarare il proprio minimalismo espressivo, che parte dall’uso di un digitale obbligatoriamente non ad alta definizione, il film ha dalla sua la capacità di coniugare, attraverso un montaggio accurato, i tempi del cinema con quelli del quotidiano, usando la musica quando davvero necessaria, e muovendo la macchina da presa in maniera funzionale al racconto, senza il bisogno di dimostrare di “saper fare”. I “non attori” presenti nel film sono così naturali da essere a cavallo tra la finta verità di certi documentari e la vera finzione di certe fiction: sono lì e basta, a darci un’idea di essenzialità e presenza che è quella di tutta “La rieducazione”.
Amanda Flor è un collettivo costituitosi in questi ultimi due anni, attivo nella provincia est di Roma. Il manifesto etico, estetico, ideologico, consta di pochi, fondamentali, punti.
· Riuscire a confezionare storie filmate in cui ogni aspetto della realizzazione (dalla stesura del soggetto alla post-produzione) sia a cura del collettivo stesso.
· Immergere totalmente i soggetti nella particolarità del quotidiano in cui il collettivo vive. Comunque alla ricerca di quelle caratteristiche che lo rendano leggibile anche altrove.
· Lavorare esclusivamente con quei mezzi che si rivelino veramente necessari alla realizzazione del progetto. Semmai approssimando per difetto, confidando nelle risorse della parte di umanità che abbiamo a disposizione.
· Lasciare emergere le particolarità socio-antropologiche del nostro territorio in modo discreto, senza forzare storie e personaggi. Niente stereotipi, niente macchiette.
· Cercare di inquadrare il meno possibile la città di Tivoli.
Tutto questo si sta concretizzando nel Ciclo dei Finti, una trilogia in bianco&nero di cui il primo episodio è appunto La Rieducazione.
Attualmente è in fase di lavorazione AFA, il secondo capitolo.
Il collettivo è composto da quattro persone: Davide Alfonsi, Alessandro Fusto, Denis Malagnino, Daniele Guerrini. Ognuno ha collaborato a diversi progetti con diverse qualifiche prima di confluire nella collective-mind Amanda Flor.
Omaggio a Otto Preminger (1906-1986) – Film d’apertura
Evento speciale in collaborazione e con il contributo del Museo Nazionale del Cinema e la Mostra internazionale d’Arte Cinematografica
Copia restaurata dalla Sony Pictures
BUNNY LAKE IS MISSING (Bunny Lake è scomparsa)
Gran Bretagna/USA,1965, 35mm, b/n, 107’
Regia: Otto Preminger. Sceneggiatura: Jonh Mortimer, Penelope Mortimer e Marryam Modell, dal romanzo omonimo di Evelyn Piper (Marryam Modell). Fotografia: Denys N. Coop. Montaggio: Peter Thornton. Musica: Paul Glass. Scenografia: Donald M. Ashton. Costumi: Hope Bryce. Sonoro: Jonathan Bates, Claude Hitchcock, Red Law and Valerie Lesser. Titoli: Saul Bass. Interpreti: Laurence Olivier, Carol Lynley, Keir Dullea, Martita Hunt, Anna Massey, Clive Revill, Finlay Curie, Noel Coward. Produzione: Otto Preminger, Martin C. Schute. Distribuzione: Sony/Columbia.
Nella Londra degli anni Sessanta, l’ispettore Newhouse (Laurence Olivier) indaga sul misterioso rapimento di una bambina, Bunny Lake, avvenuto in un’asilo di Hampstead. Bunny è la figlia illegittima di Ann (Carol Lynley), una nevrotica ragazza americana appena giunta in Inghilterra per raggiungere il fratello Stephen (Keir Dullea). La responsabile dell’asilo non ricorda di aver mai visto la bambina, né di aver mai effettuato la sua iscrizione alla scuola, così Ann cerca disperatamente di ritrovarla con l’aiuto del fratello, anche perché la polizia comincia a credere che tutto sia frutto dell’immaginazione della donna. Ma è Ann a mentire, o il mistero sulla sparizione di Bunny Lake è destinato a rivelare inquietanti elementi psicotici in qualcuno a lei molto vicino?
In occasione del centenario della nascita di Otto Preminger (Vienna, 5 dicembre 1906) e del ventennale della sua morte (New York, 23 aprile 1986), la Settimana Internazionale della Critica, in collaborazione e con il contributo del Museo Nazionale del Cinema - che organizzerà, nell’ottobre del 2007, una retrospettiva completa dei suoi film curata da Stefano Boni e Jim Healy - presenta come film d’apertura la copia, recentemente restaurata dalla Sony Pictures, di uno dei suoi più rari e misconosciuti capolavori: “Bunny Lake is Missing”. Il film, che all’epoca (1965) fu considerato un fiasco commerciale e di critica, in realtà è uno dei più inquietanti thriller di Preminger, un viaggio nel profondo della psiche umana, caratterizzato dalla sapiente ambiguità con la quale la sceneggiatura (di John e Penelope Mortimer, da un romanzo giallo di Marryam Modell che lo firmò con lo pseudonimo di Evelyn Piper) tratteggia i personaggi, e da una messa in scena elegante e moderna, che combina le tessiture “noir” tanto care al Preminger del periodo classico americano con stilemi tipicamente hitchcockiani.
Tre curiosità: il cameo del drammaturgo Noel Coward, nei panni di un misterioso padrone di casa “adepto” del marchese De Sade; la presenza, nella colonna sonora e, anche in alcuni momenti ripresi dalla tv, della band The Zombies e del loro successo “She’s Not Here”; i titoli di testa, del grande Saul Bass.
Di “Bunny Lake is Missing” è attualmente in preparazione un remake che dovrebbe essere interpretato da Reese Witherspoon.
(21/07/2006)
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