62. MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA

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(10-08-2005) - Panoramica sulla 62. Mostra del Cinema di Venezia

Presentato a Roma il programma ufficiale: l'Oriente filo conduttore di una manifestazione blindata ma aperta all'innovazione e ad un'America mai così generosa e indipendente...

Sicurezza, rigore e autorialità. Questi gli ingredienti alla base di una Mostra finalmente snella, “dotata di una segnaletica chiara” che dopo il caotico “happening” dell’edizione scorsa, ha deciso di evitare ab origine ogni “clamoroso autogol”. Così, dopo i preoccupanti scricchiolii del 2004 che hanno reso evidenti i limiti strutturali e logistici di una kermesse sovraccaricata di film ed eventi e culminata con la bagarre della proiezione de “Il mercante di Venezia”, il rischio di lasciare in piedi qualche divo o di vedere produttori infuriati per “proiezioni breakfast”, sembra definitivamente fugato. Una lectio obbligata, d’altra parte, alla luce delle preoccupanti minacce terroristiche che, come sottolinea il direttore Marco Muller, rendono questa 62. Mostra un “obiettivo naturale”, costringendo inevitabilmente ad incentivare le misure di sicurezza già collaudate in occasione del recente vertice Nato organizzato al Lido.
Il risultato di questa razionalizzazione sia qualitativa che strettamente logistica, si è concretizzato in un programma che prevede una griglia di 54 film (contro i 70 del 2004), due sezioni in meno (Mezzanotte e Digitale), e una media di 5 film al giorno, per risparmiare a pubblico e accreditati tour de force e code da "check-in", ma soprattutto per permettere controlli e deflussi regolari dalle proiezioni e garantire a tutti, major americane e produttori inglesi in testa, sicurezza e serenità. Fuori zaini e borse dalle sale, dunque, e dentro lo sguardo critico puntato solo sui film di una Mostra, “aperta e pluralista” che Muller ha voluto “programmata con una certa dose di schizofrenia domata, non addomesticata”, in grado di esprimere comunque, nel suo rigore, pellicole stimolanti, che devono “interrogare” il pubblico “piuttosto che fornire delle risposte”.
Per un programma che svela le sue carte giorno dopo giorno, con le “coordinate cinesi” in apertura e chiusura affidate al kolossal “Seven Swords” di Tsui Hark e al melodramma “Perhaps Love” di Peter Ho-sun Chan, a voler cingere una Mostra con un ideale filo d’Arianna che dipanandosi lungo “La storia segreta del cinema asiatico” e la retrospettiva dedicata al Leone d’Oro Hayao Miyazaki, guiderà lo spettatore attraverso un’accattivante labirinto di proposte dominate dall’Oriente ma anche da un America finalmente audace, capace di mettersi in gioco con 11 lungometraggi e 9 “prime” mondiali per una Mostra che sembra aver finalmente conquistato la fiducia delle major. Nessuna ansia da competizione, quindi, per John Turturro, e per i suoi protagonisti James Gandolfini, Susan Sarandon (che bissa con "Elizabethtown") e Kate Winslet, in gara con il musical prodotto dai Coen “Romance and Cigarettes”, e per George Clooney in concorso con “Goodnight and Good Luck”, la sua seconda e coraggiosa prova dietro la mdp (dopo l’ottimo “Confessioni di una mente pericolosa”), dedicata al padre giornalista, sul maccartismo degli anni 50’, tra le suggestioni in bianco/nero di “Citizen Kane” di Welles e “Quinto potere” di Lumet.
Attori-registi in lizza per un leone assieme ad autentici “giganti”, guidati dalla temibile delegazione francese composta da Patrice Chéreau, (Orso d’oro a Berlino 2001 per lo sconcertante “Intimacy”) con la sua “Gabrielle” Isabelle Huppert, da Laurent Cantet (sempre in attesa della consacrazione dopo i grandi consensi ricevuti nel 2001 con il dolente “A tempo pieno” ), autore “Vers le Sud” con una “straordinaria Charlotte Rampling” (parola di Muller), e dal raffinato Philippe Garrel (anche lui alla Mostra del 2001 con l’amara malinconia di “Sauvage innocence”) con “Les Amants réguliers”, protagonista il figlio Louis (“The Dreamers”).
Autori “in stato di grazia”, li ha definiti Marco Muller, come la protagonista in estatica e fatale immedesimazione di “Mary” del diabolico Abel Ferrara, che grazie alle ossessioni della sua Maddalena-Juliette Binoche e gli interrogativi religiosi legati alle scomode verità dei Vangeli Apocrifi da cui trae spunto la sceneggiatura (sulla scia dell’abusato ma mai così attinente bestseller di Dan Brown, "Il codice Da Vinci") potrebbe, suo malgrado, fare la gioia di coloro che ogni anno cercano ad ogni costo tra le righe del programma il film da immolare sull’altare fin troppo abusato della pellicola/pietra dello scandalo. Ma forti emozioni potrebbero arrivare anche dal russo “Garpastum” dello “sconvolgente”, a detta di Muller, Aleksey German jr, e dal coreano Park Chan-wook, rivelazione di “Old Boy”, con la vendetta tutta la femminile di “Sympathy for Lady Vengeance” (“Lady Vendetta”), che chiude la trilogia iniziata con “Sympathy for Mr. Vengeance”.
E non mancheranno l’inossidabile Manoel De Oliveira, di nuovo alla Mostra dopo il Leone alla carriera del 2004 con un film girato anche a Venezia, “Espelho magico”, il veterano Krzysztof Zanussi con “Persona non grata” e gli inglesi “Proof” di John Madden con Gwyneth Paltrow (con la quale vinse l’Oscar per “Shakespeare in Love”), “The Constant Gardener” del brasiliano Fernando Meirelles (dopo il pluripremiato “City of God”) con Ralph Fiennes e Rachel Weisz e il visionario “The Brothers Grimm” di Terry Gilliam, con Matt Damon, Monica Bellucci e l’onnipresente Heath Ledger, che triplica il suo gettone di presenza alla Mostra, in concorso anche con il “western gay” “Brokeback Mountain” (“La montagna del desiderio”) di Ang Lee, e fuori concorso con “Casanova” di Lasse Hallstrom, film evento del 3 settembre a cui verranno affiancate una serie di proiezioni di altri “Casanova” del passato tra cui la versione non censurata di Steno.
Gli italiani in competizione si difendono con il fascino retrò de “La seconda notte di nozze” di Pupi Avati che ritrova Neri Marcoré dopo i successi de “Il cuore altrove”, i drammi laceranti di Giovanna Mezzogiorno (protagonista anche del corto “Compleanno” di Sandro Dionisio), Alessio Boni e Luigi Lo Cascio ne “La bestia nel cuore” diretti da Cristina Comencini e di Margherita Buy e Luca Zingaretti ne “I Giorni dell’abbandono” di Roberto Faenza.
Italia presente anche fuori competizione con il collettivo “All the Invisibile Children” prodotto da Maria Grazia Cucinotta e con “The Fine Art of Love – Mine Haha” di John Irvin con Jacqueline Bisset e nella sezione Orizzonti, “locus amoenus” di sperimentazione e libertà espressiva, con il secondo film di Franco Battiato “Musikanten” (protagonista di spicco, Alejandro Jodorowsky nel ruolo di Beethoven), con “Texas” del giovane talento teatrale Fausto Paravidino, con Valeria Golino e l'idolo delle teenager di casa nostra Riccardo Scamarcio, e con l’evento speciale “Kill Gil” storia del dramma e del ritorno alla vita del produttore Gil Rossellini (con la sorella Isabella Rossellini).
Sezione in cui spicca anche la presenza di maestri come Werner Herzog (con il documentario “The Wild Blue Yonder” con Brad Dourif) e Fernando E.Solanas (“La dignidad de los nadies armado”) e di esordienti come l’attore Liev Schreiber (l’anno scorso al Lido con Meryl Streep e Denzel Washington per “The Manchurian Candidate”) che per la sua opera prima “Everything Is Illuminted” ha scelto come protagonista “Frodo” Elija Wood.
Arbitri della competizione che il 10 settembre decreteranno i “leoni” di questa edizione, i membri della giuria guidata dal presidente Dante Ferretti e composta dallo scrittore cinese Acheng, dalla regista francese Claire Denis, dal maestro del cinema tedesco Edgar Reitz, dalla musicista islandese Emiliana Torrini e dal produttore Christine Vachon. A cui vanno ad aggiungersi la giuria della sezione Orizzonti guidata dal grande artista Mimmo Rotella e composta dalla regista Isabel Coixet (nel fuori concorso della stessa sezione con “La Vida segreta de la palabras”), Jean-Michel Frodon, Valerio Mastandrea (alla Mostra anche come regista del corto “trevirgolaottantasette”) e il regista giapponese Shinya Tsukamoto, la giuria di Corto Cortissimo presieduta dal critico Chema Prado, e formata da Giovanna Gagliardo e Clemens Klopfenstein, ed infine la giuria del Premio Luigi De Laurentiis assegnato alla migliore opera prima, composta dal regista Guy Maddin, dal critico Peter Cowie, dalla nostra Isabella Ferrari, dal regista Ismael Ferroukhi e dall’attrice-sceneggiatrice Renata Litvinova.
Fuori concorso, come da tradizione, spazio al glamour e allo spettacolo con la squadra degli americani ad aprire le danze, con il già citato “Casanova”, e l’atteso “Elizabethtown” del regista di “Vanilla Sky” Cameron Crowe (“uno dei più grandi registi americani dell’ultima generazione”, parola di Muller), con la coppia Orlando Bloom-Kirsten Dunst a sfidare quella formata da Russell Crowe e Renée Zellweger in “Cinderella Man” di Ron Howard che torna a dirigere l’attore australiano dopo “A Beautiful Mind”. A cui vanno ad aggiungersi le pellicole di Scott Derrickson (con il demoniaco “The Exorcism of Emily Rose”) e Stuart Gordon con “Edmond” (da una sceneggiatura di David Mamet) con protagonista William H.Macy (Boogie Nights, Fargo, Magnolia, Welcome to Collinwood), attore troppo spesso comprimario, finalmente protagonista di una pellicola inquietante e ambigua che metterà finalmente in luce le qualità di un interprete straordinario. Un fuori concorso segnato anche dal ritorno alla sperimentazione digitale (in 4k) di Steven Soderbergh (dopo il precedente metacinematografico “Full Frontal” presentato a Venezia nel 2002) con il "thriller mistery" “Bubble”, e all’animazione di Tim Burton con lo “stupefacente” “Corpse Bride” ( “La sposa cadavere”) con le voci di Johnny Depp e Helena Bonham Carter, sulla scia dell’indimenticabile “The Nightmare before Christmas” del 1993.
Un panorama ampio e ricco di proposte innovative, con film-sorpresa ancora da svelare (dal cilindro di Muller potrebbe spuntare l’ultimo gioiello di Takeshi Kitano) che testimoniano una vivacità di “una Mostra pluralistica, volutamente contraddittoria”, con opere diversissime unite solo “dall’intuizione della verità di cinema che in esse cela”. All’indomani delle polemiche sull’asse Venezia-Roma, con la “singolar tenzone” fra Galan e Veltroni, che vede contrapposta la kermesse veneziana a un nuovo festival di cinema italiano in preparazione nella capitale, un invito nemmeno tanto implicito a guardare all’essenza del cinema e alla sua universalità.

Ottavia Da Re

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