62. MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA

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Foto © Ottavia Da Re

(28-09-2005) - 62.Mostra: molti leoni ma pochi ruggiti per l'edizione 2005

Si chiude il sipario sulla 62. Mostra del Cinema. Un evento che alla vigilia ha fatto parlare di se per le difficoltà organizzative di una manifestazione messa a dura prova dall’incombente minaccia terroristica, dai soliti problemi logistici e da minacce meno gravi ma assai più destabilizzanti che paventavano una concorrenza sleale da parte di Roma nell’ideazione di un nuovo festival in contemporanea con la kermesse veneziana. Venti ostili ma effimeri che l’edizione appena conclusa ha spazzato via con la prima proiezione, restituendo il Lido al popolo della Mostra, al pubblico e ai suoi bistrattati accreditati, che tra la “zona rossa” cinta da metal detector e i serrati cordoni di sicurezza, hanno potuto comunque godere pienamente (e con grande civiltà) di film di buon spessore, del glamour di passerelle mai così affollate da star di prima grandezza (da George Clooney, a Russell Crowe, passando per Orlando Bloom e Matt Damon) e di una kermesse che si ricorderà senz’altro per la presenza e la forza di un cinema orientale sempre più amato e popolare (“Seven Swords” di Tsui Hark, “Initial D” di Andrew Lau e Alan Mak, “Lady Vendetta” di Park Chan-wook), per un contributo made in Usa da cui sono venuti gli apporti più originali e provocatori (oltre al folgorante “Good Night, and Good Luck” di Clooney, ricordiamo l’originale “Everything is Illuminated” e il dissacrante “Romance and Cigarettes” degli attori esordienti Liev Schreiber e John Turturro), ma soprattutto per un’animazione che, ispirata dalla presenza di Hayao Miyazaki, ha trovato la sua consacrazione in quello che potremo definire il “gioiellino” di questa Mostra, “Corpse Bride” (“La sposa cadavere”) di Tim Burton e Mike Johnson, favola dark che ha “stregato” il Lido, soggiogato anche dalla straordinaria presenza di Burton e della sua “sposa” Helena Bonham Carter.
Un festival che ha saputo e voluto celebrare (non senza una certa sudditanza) l’autorialità di maestri come Philippe Garrell (“Les amants Réguliers”) e Abel Ferrara (“Mary”), applauditi e premiati rispettivamente con il Leone d’argento per la miglior regia e con il Premio Speciale della giuria guidata da Dante Ferretti, tributando un Leone d’Oro alla Carriera davvero emozionante e suggestivo ad un altro maestro, Hayao Miyazaki, acclamato al Lido da generazioni di giovani appassionati cresciuti con suoi personaggi animati, oggi autentici miti.
Una Mostra audace, ma non altrettanto “mordace”, quella del 2005, che ha distribuito Leoni poco ruggenti, sicuramente ammansiti, a cui è mancato il coraggio di premiare pienamente e meritatamente il coraggioso (questo sì…) apologo sulla libertà di George Clooney, “Good Night, and Good Luck” (Coppa Volpi a David Strathairn e consolatoria “Osella” per la miglior sceneggiatura), e di assegnare il giusto riconoscimento alla stupenda Isabelle Huppert di “Gabrielle” di Patrice Chéreau, la vera Coppa Volpi di questa 62. Mostra (senza nulla togliere alla vincitrice ufficiale, la brava Giovanna Mezzogiorno, vittima della solita strategia di auto-compensazione dell’italian system), liquidata con un compromissorio “Leone speciale per il complesso dell’opera” rispolverato ad hoc dopo vent’anni. Ma trovando tuttavia le motivazioni e la forza di ignorare il fulminante, abbagliante (sia per il tema trattato che per la forza visiva) “The Constant Gardener” di Fernando Meirelles con un Ralph Fiennes in stato di grazia (film penalizzato forse dalla presentazione confinata al penultimo giorno di Mostra), preferendo guardare all’anticonformismo e all’amore gay dello struggente “Brokeback Mountain” di Ang Lee per un Leone d’Oro che ha voluto premiare un film canadese, ambientato nel Wyoming e realizzato da un regista cinese. Quasi a voler indicare una strada nuova, ma ancora tortuosa, quella di un cinema ibrido e “meticcio”, come l’ha definito Marco Muller, capace di affascinare nella sua spiazzante diversità, nel suo piccolo “Lido”, dagli infiniti landscapes.

Ottavia Da Re e Ilaria Serina

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