Confessioni di una mente pericolosa
Sono sempre interessanti, questi debutti alla regia di icone dello star-system, Hollywoodiano e
non solo. Passaggi dietro la macchina da presa che si avvalgono di collaborazioni illustri e
mezzi più corposi delle opere prime classiche.
La prima regia di George Clooney ha a disposizione nomi come Drew Barrymore, Julia Roberts e
persino Brad Pitt e Matt Damon in due fugaci apparizioni, oltre alla presenza di Steven
Soderbergh e dei fratelli Weinstein (sì, quelli della Miramax) in qualità di produttori esecutivi.
Anche per questo Clooney ha potuto permettersi un nome poco conosciuto dal grande pubblico come
Sam Rockwell (ma già interprete, fra gli altri, de Il miglio verde e Il colpo) per vestire i panni del vero protagonista di Confessioni di una mente pericolosa; ossia
Chuck Barris, celebre creatore e conduttore di programmi per la tv americana negli anni Settanta,
killer per la CIA nel tempo libero. Autore della sua omonima biografia. "Mi chiamo Charles Hirsch
Barris. Ho scritto canzoni pop e sono stato un produttore televisivo. Sono responsabile di aver
inquinato l'etere con dell'intrattenimento puerile e intorpidente. Inoltre, ho ucciso trentatre
esseri umani".
Clooney costruisce il film senza pretese manieristiche, mescendo dramma e spionaggio senza
rinunciare allo humour. Adotta una resa originale nel costruire diverse sequenze appoggiandosi
all'abbattimento delle barriere di spazio (la telefonata del produttore televisivo intenzionato
a rilanciare il programma "Il gioco delle coppie", che vede Barris sconfinare nel suo studio come
se fosse adiacente alla stanza da cui parla) e di tempo (l'inizio dell'attività di Chuck come
guida turistica dell'emittente televisiva per cui vuole lavorare, illustrata nelle sue fasi in un
unico piano-sequenza).
Toni freddi e volontarie ellissi sottraggono Confessioni di una mente pericolosa al risucchuio
della spy-story più risaputa o alle tentazioni di una resa alla Jekyll e Hyde.
Da regista, il George di No Martini no party, quel George che si è suo malgrado trovato a
flirtare con Jennifer Lopez in Out of Sight, ma che ha avuto la fortuna di lavorare con Michelle
Pfeiffer e Nicole Kidman e che si è redento girando con i Coen, adotta e conserva per il suo
film un andamento costante che gioca ora per sottrazione -riducendo al minimo le spiegazioni-
ora attraverso qualche virtuosismo. Ammicca allo spettatore omaggiando di sfuggita il genere noir
(con i marciapiedi bagnati e il personaggio della Roberts, variazione rossa delle dark ladies
alla Barbara Stanwyck) e ritrae il mondo dello spettacolo televisivo riprendendo i colori con cui
Lynch ha descritto quello cinematografico in Mulholland Drive - le stesse ambizioni, lo stesso
clima sognante, con alcune starlette e impiegate che tentano, anche se invano, di imitare Naomi
Watts. Sfrutta al meglio il talento di Drew Barrymore e di Julia Roberts, con la prima luminosa e
intensa come non la si era mai vista e la seconda che trova finalmente una buona occasione per
dimostrare quanto vale con un ruolo complesso e intrigante dopo gli infiniti personaggi
stereotipati che s'è inflitta. Costruisce il personaggio di Barris e sul talento di un attore
coraggioso e versatile come Sam Rockwell, premiato con l'Orso d'argento come miglior attore al Festival di Berlino, sempre all'altezza della situazione e (quasi) mai sopra
le righe.
E trova addirittura per se stesso un ruolo interessante e reso con maggiore importanza rispetto
alla media dei suoi: quello di Jim Byrd, l'agente della CIA che recluta Chuck Barris. Alessandro Bizzotto
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