
Cercando Fabrizio
Di nuovo sugli schermi con un personaggio inaspettatamente ricco di ombre, Bentivoglio si racconta a Quelliche… il cinema
MILANO – “Questa storia è un po’ quella del figliol prodigo… una delle storie più antiche dell’uomo, rivista e raccontata con modalità variegate”. A dirmelo è Fabrizio Bentivoglio mentre, all’ora di pranzo, parliamo di La terra, l’ultimo film di Sergio Rubini di cui è protagonista. Un personaggio complesso e dai multipli chiaroscuri, il suo: Bentivoglio interpreta Luigi, un professore che dopo anni fa ritorno nella nativa Puglia da Milano; andatosene giovanissimo in seguito a una violenta lite col padre tiranno, l’uomo trova ad attenderlo un intrico di conflitti che coinvolgono i suoi tre fratelli (il volontario idealista, l’imprenditore aspirante politico, il ruvido bracciante) e l’eredità paterna rappresentata dalla masseria di famiglia e dalla terra su cui è costruita. I risvolti della vicenda si veneranno di giallo.
Da sempre Fabrizio Bentivoglio non ama mettersi in mostra e non è avvezzo all’immagine divistica. Il monito è chiarissimo: durante l’intera promozione di La terra Fabrizio esclude in partenza qualsiasi intervista televisiva.
Vestito marrone e aria tranquilla, non dà comunque l’impressione di uno snob. Il fare composto è quello di chi non si scopre del tutto, del camaleonte che sullo schermo si fa cercare, che ha sempre posto fra sé e il suo ruolo quel velo atto a permettergli di sorprendere ad ogni prova. Non c’è freddezza, ma nemmeno partecipazione. Il ragionare è intelligente e garbato. Nessun dubbio, comunque, sul fatto che Fabrizio Bentivoglio abbia idee chiare e definite.
Dopo la proiezione, in sala, sentivo dire che La terra sembra suggerire la possibilità di compiere anche i gesti più estremi, pur di tenere unita la famiglia… ti trovi d’accordo con questa teoria?
È chiaro che questa è una lettura simbolica e oserei dire poetica… Fare un film resta un atto poetico; tutto quello che ha a vedere con l’etica e con la politica fa parte delle interpretazioni che si possono dare. Non credo che queste risposte vadano chieste al poeta. Il poeta, che nella nostra metafora è il regista, non sempre le ha… Vuole semplicemente porre delle domande, cui ognuno deve sentirsi libero di rispondere secondo la propria esperienza. Il poeta getta dei sassolini, che senz’altro possono aiutare a pensare. Viviamo nella nostra contemporaneità il problema del delitto senza castigo, fa parte della nostra vita sociale. È però chiaro che La terra non è un film di cronaca, non allude a niente. Se ci si mette a vagheggiare sui rimandi dell’opera… beh, possono essere milioni! Ognuno è libero di fare le riflessioni che crede. Per quanto mi riguarda… sono figlio unico, vengo da una famiglia minuscola! La mia professione, poi, negli anni mi ha insegnato a considerare i miei amici come la mia famiglia … ad avere un senso di famiglia più ampio. Un vecchio blues diceva “Ovunque appendo il cappello, quella è casa”… Posso dirti di avere un concetto piuttosto zingaro della famiglia, meno classico.
La terra del titolo fa una fine che non ci si aspetta… credi che in definitiva il tuo personaggio esca sconfitto in quest’ottica, come qualcuno ritiene?
Il tentativo, con questo film, è stato raccontare che la liberazione dei sentimenti e il ritrovare il legame autentico con le persone… si possono ottenere non riappropriandosi della roba, ma espropriandosene, purificandosi dall’oggetto del contendere, per trovare la profonda e intima sensazione dei rapporti con le persone… anche per poter apprezzare un rapporto umano.
Quella del protagonista è anche la storia di una trasformazione… che avviene in un periodo breve e che non è visibile fisicamente. Come hai affrontato questo percorso?
Sergio ha usato per Luigi, il mio personaggio, l’appellativo di “ragionatore”. È una figura mentale, di testa; non è un personaggio fisico. Crede di avere sotto dominio tutte le pulsioni istintuali, e il gioco che mi si offriva era quello di rompere gradatamente la corazza di quest’uomo per aprirne il cassetto della metà femminile, la più imprevedibile, irrazionale, istintiva… e aprirgli anche il cuore. Da un punto di vista linguistico conosciamo pochi esempi di meridionali che si trasferiscono al nord e perdono l’accento… noi però l’abbiamo supposto. Per questo quando Luigi arriva in Puglia parla un italiano quasi asettico… mentre il dialetto pugliese è molto particolare; dopo un po’ iniziano a fare le loro intrusioni parole dialettali… anche da un punto di vista linguistico, quasi suo malgrado, si ritrova a parlare come non avrebbe mai voluto.
E questo aspetto linguistico aiuta a evidenziare le tappe del cambiamento… la prima volta che sentiamo Luigi usare un pugliese marcato è nel momento in cui propone l’affare risolutivo…
Esattamente, certo… assolutamente sì.
Il finale di La terra rimane aperto… quasi ambiguo. Ma in quella scena conclusiva… il tuo personaggio, secondo te, dice la verità alla sua compagna sull’accaduto?
Come ti ha detto Claudia (Gerini, che nel film interpreta Laura, la compagna di Luigi, ndr), Luigi dice la verità… posso dirti solo la mia opinione, ed è questa. Con che parole la dice…? Non lo so… Ma per come la scena è costruita, credo che alla fine la verità venga a galla. Vediamo Luigi parlare molto. Io ritengo che cerchi le parole giuste… ma che alla fine dica alla sua compagna la verità. Tutti ti diranno che non è così, che mente. Come ti dicevo… per come il film è girato, tutto farebbe pensare a un’arrampicata sugli specchi e a racconti di crociate senza dire nulla. Personalmente amo pensarla diversamente. È il ragionamento che mi porta a dire questo… un ragionare che nasce dalla struttura del film: il personaggio della compagna di Luigi è il suo alter ego, una parte di lui apparentemente meno razionale. È impossibile pertanto che non le dica la verità… non possiamo mentire a noi stessi.
Sul set invece com’è andata? Come avete lavorato?
Beh, il lavoro è sempre quello… occorre mettere vita in qualcosa che non ne ha. Ho scandagliato le scene, provato parecchio… e in questo la formazione teatrale m’è stata d’aiuto. Le prove sono state numerose anche in gruppo, con i miei colleghi, cercando elementi in più anche nella fisicità dei nostri personaggi, in sguardi e gesti non scritti. È stato un lavoro fatto anche di piccole cose… cose non scritte, ma suggerite dalla suggestione e dal coinvolgimento; un mezzo sorriso, ad esempio, oppure quel gesto che Luigi compie misurando la febbre al fratello minore con le labbra...
… con atteggiamento molto materno, vero?
Sicuramente! Luigi si rivede in Mario, e gli prova la febbre appoggiandogli le labbra sulla fronte proprio con fare materno. Luigi sente di dover sopperire alla mancanza dei genitori, sente di dover fare da padre e da madre per il fratello minore. Arriva a pentirsi d’essere stato lontano così a lungo. Anche nella vita… si crede di poter tagliare i ponti con le persone. Ma se una persona è stata davvero importante nella tua vita resterà sempre. Potrai definire la relazione in modi diversi, tramutare il rapporto… ma l’amore c’è sempre.
Passando invece al finale di un altro tuo film, Ricordati di me… finale che può restare un po’ criptico agli occhi di qualcuno… perché il protagonista guarda in camera e sorride?
Beh… è un sorriso molto triste, te lo ricorderai! Forse si rende conto che non vorrebbe essere lì. È un personaggio molto diverso da me… non ho tutti quei rimpianti io! Quello è un uomo che nell’età cruciale, quando tutti noi abbiamo dovuto scegliere quello che ci piaceva fare, ha fatto tutt’altro rispetto a quanto desiderava… lui voleva fare lo scrittore. Invece s’è lasciato imbrigliare dalla famiglia di lei… ha fatto quanto gli altri volevano che facesse. Capita a molti purtroppo… non tutti hanno il coraggio e la forza di decidere per se stessi.
La tua formazione teatrale ti porta a riconoscerti in qualche metodo?
L’attore mira alla non riconoscibilità. Sono contento di me quando il pubblico non mi riconosce, non mi collega a quanto di mio ha già visto… ma riceve una sorpresa spiazzante. Tutto questo è dovuto anche alla mia origine teatrale: il pubblico deve cercarmi. Quando le luci del palcoscenico si sono spente, l’attore teatrale deve sparire… permettere al pubblico di sorprendersi la volta successiva.
Come ti sei trovato dall’altra parte della mdp, invece, dirigendo il corto Tipota?
Per un attore, dopo essersi occupato di un dettaglio del quadro - la recitazione -… subentra naturalmente la voglia di costruire tutto il quadro. Il corto l’ho anche co-prodotto, non potevo fare a meno di farlo…
… hai intenzione di tornare a dirigere?
Penso che possa succedere, assolutamente sì… sarà comunque per qualcosa cui tengo tanto quanto tenevo a Tipota.
Percepisci un senso di responsabilità più forte nelle vesti di regista?
Beh, certamente! Dirigere e recitare (come ha fatto Sergio con La terra) è una fatica improba. Sono due lavori che hanno direttrici quasi diametralmente opposte. Il lavoro dell’attore si fa quasi in solitario… è solipsistico; quello del regista è invece un lavoro a trecentosessanta gradi: capire, farsi capire… essere chiaro in ciò che si vuole dagli attori… è qualcosa che fa emergere la creatività a tutto tondo. Sei proiettato verso l’esterno. Dover improvvisamente rientrare nel ruolo d’attore è molto difficile… a volte quasi schizofrenico. Chi sa farlo abitualmente è da ammirare.
E le passioni di Fabrizio Bentivoglio…?
Ho una passione per la musica. È una passione che ho coltivato in privato… non è mai uscita da casa. L’incontro, nel 1992, con la Piccola Orchestra Avion Travel ha permesso che il tutto venisse amplificato… salendo su un palco e incontrando un pubblico. Non ho mai smesso di suonare… strimpello la chitarra e da poco ho iniziato nuovamente a studiare il pianoforte. Ovviamente a livello amatoriale… Ma anche come attore mi considero un dilettante.
Che musica ascolti?
Sono onnivoro… pur avendo anche grandi lacune. Ascolto tutta la buona musica. Le lacune più grandi le ho nel campo della lirica, che ho scoperto di recente e che confesso d’aver snobbato per anni.
E prossimamente cosa ti aspetta?
Ho appena finito di girare il nuovo film di Paolo Sorrentino… credo che fra questo e La terra ci sia di che parlare e scrivere. Ma non farmi parlare della rinascita del cinema italiano… da anni c’è questa storia del coma, del malato grave… che si sta riprendendo…! Dovremmo riuscire a fare qualche film in più… anche dal punto di vista quantitativo. Quando io ho iniziato il cinema italiano aveva una categoria autoriale quasi punitiva contrapposta a una commedia totalmente… svaccata, concedimi il termine. In mezzo non c’era niente. Negli ultimi anni s’è invece iniziato a riempire quella fascia intermedia fra i due estremi… si tratta di film che non saranno capolavori, non saranno Ladri di biciclette, ma che restano validi in ogni caso.
* * *
Nelle immagini, Fabrizio Bentivoglio sul set di La terra di Sergio Rubini, uscito il 24 febbraio; nell'ultima, con Claudia Gerini, Massimo Venturiello e Emilio Solfrizzi (di spalle) in una scena.
* * *
Intervista a cura di: Alessandro Bizzotto
|