Avati altrove

Intervista a Pupi Avati, che è tornato a raccontare (e a raccontarsi) con Ma quando arrivano le ragazze?


MILANO – Dopo Il testimone dello sposo (che nel 1998 fu scelto per rappresentare l’Italia nella corsa all’Oscar per il miglior film straniero) e Il cuore altrove (successone al Festival di Cannes del 2003), Pupi Avati è tornato dietro la macchina da presa per parlare nuovamente di sentimenti. Nel suo ultimo Ma quando arrivano le ragazze?, appena uscito sugli schermi italiani, tornano i temi dell’amicizia e dell’amore: la storia di due giovani (Paolo Briguglia e Claudio Santamaria) avvicinati dal sogno della musica, poi divisi dall’amore per la stessa ragazza (Vittoria Puccini), ma soprattutto da sorti diverse.
Incontro il regista in una gelida mattina d’inizio febbraio. M’aspetto un autorevole cineasta di granito, ma mi trovo davanti una persona sorridente e rilassata. Parliamo del film e dei suoi temi ricorrenti nella vita di oggi come in quella di ieri, un altrove non mitico e nostalgico, ma sempre presente.


Un film su talento e passione, su come possano non coincidere…
Esatto. Possono sicuramente essere visti entrambi in Ma quando arrivano le ragazze?. Sono profondamente convinto che ognuno di noi abbia qualche talento: ognuno è eccezionale, ha qualcosa di straordinario. Dobbiamo sempre cercare il nostro talento. Ero molto giovane quando ho iniziato a inseguire il sogno della musica. Ma non avevo talento, e ho dovuto rinunciare…

…allora possiamo vedere una parte autobiografica nel film?
Ovviamente, sotto questo aspetto. Nel mio cinema, poi, ci sono componenti ricorrenti: amicizia, amore, tradimento. Sono elementi che collegano in qualche modo tutti i miei film. E io non credo che il tradimento sia sempre negativo. Perché se ne può uscire con una consapevolezza nuova, anche sulla differenza fra amore e amicizia. Il dolore e il rammarico sono grandi, ma la conoscenza avviene attraverso un punto di vista diverso. Se si riesce a superare quel dolore, si acquisisce nuova consapevolezza. Mi sento in ogni caso legittimato a essere portavoce di argomenti come amore e amicizia, talento e passione.

Con un titolo insolito, in questo caso…
È un titolo straordinario: ne sono entusiasta, ha forte potere evocativo. Me lo ripeto anche da solo, pur non avendo più l’età per farmi questa domanda. Quell’ora in cui le ragazze arrivano è il momento in cui creatività e immaginazione s’espandono. Io sono scappato, però; sono fuggito da questo periodo per poter diventare adulto in fretta. Non avrei dovuto… avrei dovuto centellinare, vivere tutti i momenti…

C’è l’elemento personale anche in altre scelte narrative? Riferimenti, nomi…
I nomi… anche i nomi sono biografici, sì, in un certo senso. Sono tutti nomi di persone esistite. Non solo in questo film. I nomi appartengono spessissimo a figure che sono state parte della mia vita e che mi piace pensare mi siano ancora vicine. Per questo uso i loro nomi. Francesca, per fare un esempio, è il nome di mia nonna…

Com’è andata con gli interpreti, anche per quel che riguarda la loro scelta?
Confesso un’ignoranza pressoché assoluta in materia d’attori. Il merito delle scelte di casting è di mio fratello Antonio, produttore del nostro film. Cercavo comunque attori che non fossero i miei abituali. Non avevo visto lo sceneggiato televisivo di Vittoria Puccini, non la conoscevo bene… ma quando l’ho vista mi ha ricordato una di quelle belle ragazze della Bologna bene che non avevano mai voluto ballare con me. Per quel che riguarda Paolo Briguglia, posso dire che non c’è stata certezza immediata. Inizialmente avevo scelto un altro interprete… mio fratello dice che nessuno saprà mai chi era. Poi qualcuno mi ha fatto il nome di Paolo. Quando l’ho visto ho capito che avrebbe vissuto la storia nel modo giusto. In modo simile, anche con Claudio Santamaria conoscenza e simpatia sono arrivate gradualmente, col tempo. E una bella presenza è anche quella di Johnny Dorelli nel nostro cast. Ha il ruolo di un padre invadente, ingombrante… ma io non ho visto solo il lato negativo in questo personaggio, quello di un uomo ingiusto che vuole che il figlio segua la strada che lui non è riuscito a percorrere. È un padre che in qualche modo avrei voluto avere anch’io: un padre che s’impiccia, ma soprattutto che fa il tifo per me…

L’interesse per l’astronomia e le comete è uno strumento di suddivisione narrativa nel film. Una scelta interessante…
Sì. Le comete sono e rappresentano anche le ragazze che si avvicinano e se ne vanno. L’ultima cometa, ovviamente, rappresenta il personaggio di Nick che esce dalla vita degli altri due pur restando in qualche modo presente. Le donne conservano sempre qualcosa di tutte le loro storie d’amore. Così succede anche in questo mio film, la protagonista femminile non si lascia definitivamente alle spalle una storia. Del resto, non credo esista qualcosa di davvero peculiare nei ragazzi di oggi: i temi, le situazioni sono eterne… così come sono le stesse le ragioni di sofferenza e di gioia.

Anche per queste ragazze…?
Trovo che le ragazze siano rimaste assolutamente identiche a quelle che anni fa non volevano accettare il mio invito a ballare. Le ragioni per le quali una ragazza si innamora oggi sono le ragioni per le quali una ragazza si innamorava una volta… così come uguali sono le ragioni per cui qualcuno diventa amico di qualcun altro. Continuiamo a parlare di mutazioni, andiamo avanti a studiarci quando in realtà restiamo sempre identici. I miei figli sono per me il termometro della situazione esterna, frequentano i pub, frequentano l’università… sono tre, una femmina e due maschi. Hanno vicende umane sovrapponibili a quelle della mia generazione; ci sono analogie di fondo. Certo, indossano scarpe diverse, hanno gusti musicali o cinematografici diversi dai miei, leggono libri diversi da quelli che ho letto io, si esprimono con un lessico che non è il mio… certamente. C’è forse meno capacità di credere in qualche progetto… il progetto matrimoniale oggi, ad esempio, da meno garanzie di quante non ne desse un tempo. Oggi la maggior parte delle persone non dice più “per sempre”… non so se voi oggi, quando state con una ragazza, dite ancora “Ti amerò per sempre”… lo dite?

Non spesso, no…
Ecco, noi lo dicevamo sempre. Io a tutte le ragazze, anche a quelle con cui sono uscito in macchina… volevo davvero sposarle. L’atteggiamento era diverso. Ma nella sostanza, andiamo… cosa avveniva? Cose analoghe: baci eccetera… assolutamente le stesse cose. Ci lasciavano quando trovavano qualcuno di più carino, oppure le lasciavamo noi, potevano esserci tradimenti... Sono storie che si ripetono, di una banalità assoluta. È in questo che ogni generazione crede di essere differente rispetto al passato, ma non è così. Abbiamo sofferto e gioito per le stesse cose.

Ma quando arrivano le ragazze? è una storia vista in qualche modo dal punto di vista del perdente…
Certo, esatto!

Ma se, come abbiamo detto, è anche autobiografica… non è stato un po’ doloroso raccontarla?
Questa storia è vista dal punto di vista di un soccombente, che è il punto di vista del più informato… in tutte le storie: nelle guerre, nelle battaglie, nelle storie d’amore, nell’amicizia… chi ne sa di più è chi perde. Chi vince è distratto dall’euforia della vittoria, ma non ha l’introspezione che ha chi soffre. Il tempo di dolore è interminabile: per chi soffre il tempo si dilata. Mentre il tempo della gioia dura un attimo. Ragionando in questi termini, ci si rende conto che il punto di vista di un soccombente mi ha permesso d’avere uno sguardo molto più obiettivo… se avessi raccontato la storia dal punto di vista di Nick - di chi in un certo senso ha avuto successo - si sarebbe saputo molto poco. Del resto, cosa sapeva Nick di tutta questa vicenda? Pochissimo. Invece il personaggio di Gianca ne sa tanto. Ma allo stesso tempo il racconto viene da una persona che successivamente si è realizzata… io stesso sto facendo un mestiere attraverso cui riesco a dire chi sono. Per questo non è stato doloroso: io ero già in salvo. Racconto la storia dalla posizione di chi s’è messo al sicuro. C’è stata anche una forma di piccolo narcisismo, come c’è spesso quando raccontiamo noi stessi. A me piace molto raccontare le mie sfortune: penso di creare anche maggiore identificazione… Questo è anche un mio suggerimento nell’amicizia: quando non ci si conosce, se la prima cosa che si dice è una dichiarazione di debolezza l’altro si fida immediatamente di più. Non è strategico, è un modo di saltare gli stupidi preliminari attraverso cui ci si studia. In tutto il mio cinema ho raccontato anche storie di perdenti, persone disperate che cercano disperatamente d’essere felici ma non ce la fanno. Perché la maggior parte della gente nel mondo è così, ha le sue delusioni… sono pochissimi i fortunati che stanno lassù, in un mondo dorato al riparo dalle sofferenze. Dare ampiezza al proprio rammarico, spettacolarizzarlo può essere gratificazione personale. Anche la letteratura, la poesia… non è un continuo lamentarsi della propria sorte?

Ma allora… davvero chi è talentuoso prende molto e dà relativamente poco, mentre chi ha passione dà molto e per certi versi resta perdente…???
Sarebbe un’equazione… molto semplicistica, credo. Nella mia esperienza di vita non è così. In certi ambiti ci sono persone prive ti talento… parliamo del mio mondo. Conosco attori pessimi che fanno soprattutto fiction… non faccio nomi. Sono pessimi, ma pieni di sex appeal: fanno calendari o cose simili... In quel caso le due cose non coincidono: talento interpretativo meno zero, sex appeal mille. L’incantesimo che scatta col pubblico è un mistero e deve rimanere tale… Ma io vorrei ribadirlo: bisogna trovare un mezzo, nel proprio ambito anche lavorativo, attraverso cui dare la parte migliore di se stessi. Senza pensare a quello che si ottiene. Bisogna avere quello che si fa. Quello che si fa è quello che si è, e si comunica attraverso quello che si fa. Se qualcuno mi avesse detto questo quando avevo vent’anni non avrei perso vent’anni sbattendo la testa da ogni parte. Io ho sfogato la passione, la mia voglia di fare il musicista studiando e vestendomi come un musicista… per poi scoprire, quando sono arrivati i musicisti che davvero avevano talento, che quanto facevo non era sufficiente, e che la mia strada non era quella.

C’è nostalgia per un certo incanto, per momenti del passato quasi magici, quegli elementi intangibili che avvolgono i personaggi?
Non credo. Ho ambientato questa storia nei nostri giorni proprio perché credo che l’incanto sia possibile anche oggi. C’è tendenza negli adulti, ed è deprecabile, a negare il presente… è scorretto, sbagliato! Si trasmettono messaggi negativi: non c’è più speranza eccetera eccetera. Garantisco che gli anni Cinquanta e Sessanta erano terribili, anche se li abbiamo raccontati con rose, fiori, hula hop e juke box. Ma erano anni terribili, in cui veramente c’era ancora il cattivo odore della fame e della miseria della guerra. C’erano tutti quelli che sono problemi di disoccupazione, lavoro… L’unica cosa migliore, forse, è che i rapporti erano più semplici, meno complicati; le persone si ritenevano meno intelligenti, non leggevano fra le righe, ma leggevano le righe. Oggi c’è più diffidenza. Ma per il resto le cose erano identiche. Bisogna smetterla di trasmettere messaggi di negatività. I ragazzi hanno l’opportunità e il diritto di immaginare, crearsi aspettative… I miei attori non sono attori giovani che hanno coltivato il loro sogno? Oggi come allora ci sono i più bravi e i meno bravi… Occorre credere sempre in quell’incanto!

Il film si mantiene bene in equilibrio fra la leggerezza del tono sentimentale e il dramma, senza eccedere in nessun verso…
Com’è la vita! La vita è così: non eccede mai… salvo casi eccezionali, come i peggiori di cronaca nera… Ma nella normalità della vicende umane avviene questo, è così. È sempre un melange di momenti di sorriso, di piccole cose, e di momenti di rammarico. La vita di ognuno è questo. Avvertendo questo equilibrio, hai solo testimoniato che assomiglia alla vita… e mi hai fatto anche un grandissimo complimento, che apprezzo parecchio e per cui ti ringrazio. È questo che cerco: la verosimiglianza. La storia di Ma quando arrivano le ragazze? non è artefatta, non è una storia ad effetto che vuole spettacolarizzare e stupire… l’unica cosa che credo d’aver inventato è una macchina cui manca una portiera! La realtà è così, ed è molto bello che mi sia stato detto questo sul film.


* * *

Dall'alto, nelle foto, Pupi Avati sul set con Paolo Briguglia, e Vittoria Puccini con Paolo Briguglia, Claudio Santamaria e Briguglia, Johnny Dorelli e Vittoria Puccini in scene da Ma quando arrivano le ragazze?

* * *

Intervista a cura di: Alessandro Bizzotto


home news Ciak! Si gira... interviste festival schede film recensioni fotogallery vignette link scrivici ringraziamenti credits

Settimanale di informazione cinematografica - Direttore responsabile: Ottavia Da Re
Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Venezia n. 1514/05 del 28 luglio 2005
Copyright © www.quellicheilcinema.com. Tutti i diritti sui testi e sulle immagini sono riservati - All rights reserved.