Stefania e Dario: brividi d'Argento

Esclusivo: Quelliche…il cinema incontra Dario Argento e Stefania Rocca, per la prima volta al lavoro insieme nel loro ultimo film, Il cartaio

MILANO - Di persona, Dario Argento non ha quasi niente del creatore degli incubi che hanno terrorizzato generazioni di cinefili. Non è ombroso, non è introverso.
Non fatica a parlare, ma non è nemmeno una persona cui piace ascoltarsi. Sa essere conciso, chiaro, riassumendo in poche frasi risposte intelligenti a domande complesse.
Sa ridere, essere pronto alla battuta. Ma anche fare pelo e contropelo, senza perdere il sorriso, a qualche malcapitato giornalista che fa osservazioni fuori luogo.
A chi gli domanda perché nei suoi film i colpevoli siano spesso poliziotti, risponde: "Non ricordo bene in quanti film… forse Opera, sì… Beh, su tanti film che ho fatto…!" E a chi si dichiara stanco dei serial killer nel cinema e sente nostalgia del delitto "classico, normale, con un movente tradizionale", replica: "Delitti normali? Cos'è il delitto normale? Forse è meglio un serial killer che fa il suo lavoro rispetto a un omicida che uccide per gelosia, passione o cose del genere! Ma scherziamo…! Quella è la cosa più brutta! Io ho delle figlie femmine, e se sapessi che qualcuno vuol far loro del male per motivi come la gelosia…". E l'interruzione suona minacciosa.
Lo incontriamo all'anteprima de Il cartaio, il suo ultimo film nelle sale dal 2 gennaio, insieme alla sua attrice, Stefania Rocca, questa volta nel ruolo di una poliziotta alle prese con un serial killer patito di video poker e con un segreto che nasconde. Si sorride, si parla, ma si ascoltano anche dichiarazioni forti, poco convenzionali.
"Il male si insinua dappertutto" ci dice riferendosi alla rete Internet, che ne Il cartaio è strumento attraverso cui il killer lancia le sue sfide di video poker alla polizia. "In tutte le cose nuove che possiamo inventare. Non è colpa della rete, quella è solo un mezzo" E, a proposito dell'esperienza di un film ambientato nel mondo della polizia, racconta: "Ho scoperto come tutte le poliziotte donne abbiano una spinta ideale, che le ha portate a scegliere la loro professione. È un senso di giustizia, una pulsione ideale che hanno fin da quando sono bambine"

Può parlarci della genesi de Il cartaio?
"Ogni film ha una sua storia. La storia di questo è legata a un viaggio a Londra, quando feci il casting di NonHoSonno. Sono un tipo solitario, ero lì da solo e giravo per la città. In centro, mi hanno attratto i locali dove si gioca a video poker; sono molto frequentati. Io non sono un giocatore, il gioco non mi diverte. Però mi interessavano le persone: così sono entrato e ho iniziato a scoprire quella gente che si appassiona, si dispera, si eccita per il video poker. L'ho trovata una materia interessante per un film. Poi è arrivata Stefania Rocca, con cui ho lavorato per cercare di migliorare la sceneggiatura…"

Anche ne Il cartaio è presente un elemento tipico, più volte ripreso, come l'opposizione fra vedere e non vedere. L'abbiamo visto spesso nei suoi film: penso a Profondo rosso
"Certo. Anche ne L'uccello dalle piume di cristallo…"

Sono situazioni che hanno nutrito tutto il filone del genere horror e thriller, e che molti hanno rivisto, ad esempio, in Blow Out di Brian De Palma, dove l'immaginazione colma le lacune del non visto…
"Il cinema è questo: è la visione. Vedere e non vedere, ciò che si può vedere e ciò che non fai vedere. Il senso più profondo del cinema è la visione, il cercare di capire cosa c'è nell'immagine. Questa è senza dubbio una delle mie costanti. Per fare un esempio, la visione di Roma proposta nel Cartaio è composita. Non è spettacolare come vogliono gli americani, né misera come viene mostrata nella commedia all'italiana. Ci sono quartieri diversi, ci sono le periferie, che hanno anch'esse qualcosa di interessante. Le zone di Roma non sono tutte uguali come in altre città… Mosca, ad esempio, è una città che puoi attraversare in macchina per ore, avendo l'impressione di trovarti sempre nello stesso posto…"



Si sente citato, quindi, quando rivede sullo schermo questo elemento?
"Sì, molto citato. Specialmente da Tarantino, da De Palma, a volte anche da Carpenter"

Ha lavorato con Sergio Leone, Bernardo Bertolucci, George A. Romero. Le hanno lasciato qualcosa queste collaborazioni? "Quando si lavora si cresce sempre. Più la persona con cui lavori è una persona di valore, più la collaborazione ti fa crescere. Ovviamente lavorare con queste personalità mi ha lasciato moltissimo, sono cresciuto, sicuramente"

Sente di avere affinità caratteriali con qualche altro regista?
"Non credo… forse sì, forse no, in ogni caso non in modo appariscente"

Come in tutti i suoi film, anche qui la musica ha un ruolo molto importate…
"Sì, è vero. Ne Il cartaio è molto curata. È tutta musica elettronica, anche perché il film si svolge in buona parte sui mezzi elettronici e su marchingegni simili… È un aspetto molto interessante cui presto molta attenzione; questa volta in modo particolare: la musica è molto curata e molto raffinata…"

Un aneddoto racconta che Henry James, mentre scriveva Il giro di vite, confidò a Edmund Gosse: "L'altra notte ho dovuto correggere le bozze del mio racconto di fantasmi e, quando ebbi finito, ero così spaventato che avevo paura a salire al piano superiore". Le è mai capitato qualcosa di simile?
"Sì… [ride] Mi è capitato mentre scrivevo il mio primo film, L'uccello dalle piume di cristallo. Ricordo che ero a casa, di giorno, stavo scrivendo una scena molto importate del film, e mi ha preso un panico immotivato. Sono dovuto uscire così com'ero, ed ero in pigiama, stavo scrivendo a casa… sono uscito. Sono sceso in strada, dove ho trovato il portiere; gli ho detto: -Stia vicino a me un attimo… è un momento strano. Sarò impazzito, ma sono preso da incubi- "

Il cinema horror o thriller spaventa generando paura oppure, come vogliono alcune scuole, fa emergere paure che sono già sedimentate nel nostro inconscio?
"Credo che questa seconda teoria sia vera. Io cerco di raccontare la mia metà oscura. In questo senso colpisco forse più di altri, che raccontano fatti ispirati alla cronaca. Io racconto la nostra metà oscura, perversa; quella parte brutta, malvagia che cerchiamo di nascondere, e che fa da contraltare alla nostra metà buona. Se non avessimo una metà oscura non potremmo comprendere quella chiara, assolutamente. Dobbiamo tenere la nostra metà oscura un po' compressa, però la dobbiamo conoscere. Ci sono persone che dicono di non aver mai paura. Cosa significa non aver mai paura? Vuol dire non avere sentimenti. La paura è dentro di te, da quando sei nato. I bambini, anche a un anno, scoprono improvvisamente la paura, anche di cose trascendenti. Chi può dire perché? La mia vuole essere un'esplorazione profondissima"

Ha diretto numerose attrici: Asia Argento, Jennifer Connelly, Chiara Caselli, adesso Stefania Rocca. C'è un'attrice che le piacerebbe avere in uno dei suoi prossimi film?
"Vedremo cosa capiterà. Dovrò scrivere un nuovo film, e poi si vedrà… Mi piacerebbe fare un altro film con Stefania Rocca"

È stato facile lavorare con lei?
"Sì. È una ragazza molto aperta. Ci siamo anche aiutati…"

Ha progetti futuri di cui può parlarci?
"Il prossimo anno girerò un film nuovo, il terzo episodio delle Tre madri: dopo Suspiria e Inferno, mi occuperò della terza madre, con cui si concluderà la trilogia"




Quando mi siedo di fianco a Stefania Rocca, sorridente in abiti scuri e capelli corti raccolti in una piccola coda, non facciamo in tempo a dirci due parole che l'ufficio stampa inizia a scalpitare. Il tempo stringe. Ma prima che qualcuno possa dire qualcosa, Stefania interviene: "Un attimo, abbiamo appena iniziato! Almeno questa intervista fatemela finire!"
"Non facciamo i formali!" commenta quando decidiamo di darci del tu. Nel suo modo di porsi, difatti, di distaccato c'è poco. Scarpe da tennis e postura rilassata, addenta un pezzo di pizza prima di iniziare a parlare. Alterna piccoli silenzi di riflessione a risposte di prontezza immediata.
"Sono stata felicissima di girare Il cartaio" ci spiega. "Quello di Anna è un personaggio interessante, complesso. Forse è addirittura inadatta a fare il lavoro che ha scelto, soffre molto. Ma ho scoperto che è tipico nelle poliziotte donne"

Davvero?
"Sì. Molte donne non si sentono adatte al loro ruolo di poliziotte. Ma lo fanno per vocazione, anche per difendersi. Per prepararmi a questo ruolo ho incontrato ispettrici molto diverse fra loro. Erano sei ragazze cui ho fatto molte domande anche sulla loro vita di donne, su come riuscissero a mettere insieme il loro ruolo e la loro femminilità. Non ho scelto nessuna di loro come modello particolare, ma ho messo insieme tutti i loro racconti, chiedendo delle loro paure, delle loro fragilità… Il mio personaggio ha un segreto, una ferita. Per girare, ho pensato a un mio segreto, e lo ho portato con me sul set cercando sempre di nasconderlo. Questo mi ha fatto recitare in modo particolare, mi ha aperto un mondo. È stato un lavoro utile, mi sono resa conto che stavo usando un registro diverso da quello per me usuale"

È stato questo l'aspetto del personaggio di Anna che ti ha coinvolto e che ti ha più colpito?
"Nel momento in cui ho letto la sceneggiatura, la cosa che mi è piaciuta di più è stato il trasparire di un senso di tristezza e di sofferenza. Così ho voluto renderlo, esplorarlo; soprattutto, ho cercato di capire da dove potesse arrivare"

Come sei arrivata a interpretare Il cartaio?
"Io sono entrata nel progetto quando la sceneggiatura era già stata scritta. Dario mi ha voluto incontrare, e insieme abbiamo apportato qualche modifica al copione per migliorarlo il più possibile. Ero contentissima, perché lui è uno dei registi con cui sognavo di lavorare da anni: mi emozionava solo l'idea di incontrarlo. Dario mi ha coinvolta subito in questa storia. Il soggetto mi piaceva, perché raccontava la storia di una poliziotta senza rappresentarla come una donna in versione uomo e basta, anzi, erano presenti molti altri elementi. Ho trovato questa storia vera, reale, moderna"

Interpretare Il cartaio ti ha inquietata? Hai avuto incubi o cose simili durante la lavorazione?
"Ho avuto parecchi incubi, sì. Ma devo dire che è stato divertente: infatti, quando li raccontavo a Dario, assumevano improvvisamente una forma di commedia. Non erano più incubi, all'improvviso! Forse è anche questo, poi, il senso di un film come il nostro: si vede un film di paura, ma sapendo che è un film fantastico… thriller e horror nascono sempre dalla fantasia. E in qualche modo è un po' come rendere meno violenta la violenza, e di conseguenza anche la paura. Io mi svegliavo la mattina con incubi terribili. Poi andavo da Dario e, nel momento in cui li raccontavo, erano diventate commedie. E ridavamo tutti e due!"


Sei stata definita un'attrice cinefila. Sei d'accordo?
"Se cinefila vuol dire amante del cinema, sì. Il cinema mi piace molto. La scelta di fare l'attrice è nata in un secondo momento, ma l'amore per il cinema c'era già prima, l'ho sempre avuto. Man mano che aumentava, la curiosità di saperne di più mi ha poi spinto a fare l'attrice. Anche per questo, adesso sto facendo un programma su Sky; si chiama Sky Lab ed è dedicato alle nuove tecnologie, come il digitale, legate al cinema. Esploreremo diversi campi: musica, scenografia, sceneggiatura… tutte quelle cose che in magazine di cinema a volte non trovi. Tutto questo perché mi piace il cinema"

Hai preso parte anche a produzioni straniere e hai lavorato al fianco di attrici come Gwyneth Paltrow e Cate Blanchett…
"Sì! Meravigliose…"


Come attrice italiana, hai notato differenze fra i vostri metodi? Hai avuto modo di prendere spunti dal loro modo di lavorare?
"Beh, premetto che io non mi sono formata in Italia come attrice. In realtà, quando ho iniziato a fare questo lavoro, tutti mi dicevano che non ero abbastanza italiana dal punto di vista fisico. Così, dopo il Centro Sperimentale, sono andata a New York, e lì ho fatto un anno di Actor's Studio. I primi registi con i quali ho lavorato, prima ancora di Nirvana, erano registi inglesi. Ho lavorato con Antonio Tibaldi, che è di origine italiana, ma che vive a New York… In realtà mi sono avvicinata prima alla lingua inglese, e poi a quella italiana. Infatti sono tornata qui e mi sono detta: -Cosa vuol dire che non ho la faccia italiana? Sono italiana e voglio riuscire a esprimermi nel mio paese, perché è questo che mi interessa-. Riguardo Cate Blanchett e Gwyneth Paltrow, non posso dire di essermi ispirata a loro. Sono due attrici che ammiro moltissimo, sono davvero molto brave, e hanno due personalità completamente diverse. Con Cate Blanchett ho legato di più, visto che interpretavo il personaggio della sua amica in Heaven di Tom Tykwer e ho avuto modo di lavorare di più con lei. È ovvio che la preparazione è diversa, ma è diverso anche tutto quello che loro hanno dietro. Loro hanno venti settimane per girare un film e, a seconda del ruolo che interpretano, anche tre mesi di preparazione. Noi purtroppo non abbiamo tutto questo. E non è né merito loro né colpa nostra, è semplicemente la realtà delle cose: loro hanno più soldi e hanno creato un'industria cinematografica, il nostro cinema è ancora, fra virgolette, arte"

Nemmeno quando ci salutiamo sembra avere fretta. Autografi di rito e strette di mano.
Mi chiede se mi è piaciuto il film; ridendo, mi fa: "Parlane bene!"

Leggi la recensione de Il cartaio

Intervista a cura di: Alessandro Bizzotto


home news Ciak! Si gira... interviste festival schede film recensioni fotogallery vignette link scrivici ringraziamenti credits

Settimanale di informazione cinematografica - Direttore responsabile: Ottavia Da Re
Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Venezia n. 1514/05 del 28 luglio 2005
Copyright © www.quellicheilcinema.com. Tutti i diritti sui testi e sulle immagini sono riservati - All rights reserved.